La libreria del Cappellaio Matto

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Il cappellaio accavallò le gambe, tirando su con un gesto secco la gamba dei pantaloni. Uno dei due calzini, quello a righe viola e gialle, occhieggiò allegro verso il giardino, cercando lo sguardo delle pansé. Il cappellaio alzò gli occhi al cielo e sbuffò: vanesio! Come se le pansé non avessero di meglio da fare! Pensosamente, aprì la cassa dell'orologio e lo imburrò, con cura. Stava giusto per inzupparlo nel tè, come di consueto, quando la porticina che dava sulla libreria si aprì. Ohibò! Lasciò cadere l'orologio nella zuccheriera, distrattamente, per affacciarsi a guardare. Non aspettava nessuna delle sue amiche, per il tè, quell'oggi! Melianta aveva da strotolare una matassa di tremilacinquecento parole, poveretta, chissà quando si sarebbe liberata! Teriel Donovan, la cara figliola, era andata a trovare Lily, la gatta magica, che da quando aveva incontrato lo Stregatto era tutta scombussolata. Secret Me Phoenix...benedetta donna, quando se lo sarebbe cambiato quel nome assurdo? Era alle prese con un altro dei suoi esperimenti strampalati: si era messa a lavorare per una lumaca gigante aliena, per scrivere la posta del cuore.

Quella volta che aveva conosciuto la piccola Alice, aveva pensato che la gente è ben strana; poi aveva conosciuto le libraie, e aveva capito che la gente è ben più strana di quanto avesse potuto supporre. Era stata loro l'idea di aprirgli un ufficio, di nascosto.

Diede un sospirone, bevve un sorso di tè e si preparò ad affrontare l'ennesimo, sconclusionato, colloquio.

Si girò: nel suo giardino era comparso un uomo. Si guardava intorno con gli occhi spalancati. Era così ogni volta e lui ancora non vi si era abituato: cosa c'è dunque di così strano in un giardino, che facevano tutti quella faccia? Lo vide passarsi due o tre volte le mani nei capelli: oh, finalmente aveva un'acconciatura interessante! Non come quando era entrato! Adesso i capelli viravano allegramente in ogni direzione immaginabile. Meglio, molto meglio. L'abbigliamento non andava proprio, invece: ma dove erano finiti i colori? Pantalone grigio, calzini grigio scuro, scarpe nere. Maglioncino grigio, camicia bianca. Giaccone nero. Il Cappellaio chinò la testa di lato, per studiarlo meglio: sì, quell'uomo era così irrimediabilmente abbigliato di grigio che perfino il viso aveva preso una sfumatura simile al colorito di un sasso. Sorrise tra sé e sé, pensando al proprio abbigliamento: aveva controllato scrupolosamente: non mancava nessun colore. Aveva avuto qualche dubbio sull'indaco, ma c'era. Nell'altro calzino, quello ora nascosto.

L'uomo dai capelli simpatici si era bloccato lì. Aveva bisogno di colore, forse. Si alzò, baldanzoso e chiamò:

- Biagio!

Una lucertola, tutta ansante, lo raggiunse di corsa: d'inverno faceva lo spazzacamino, ma nelle altre stagioni si prestava ad ogni sorta di lavoretto.

- Biagio, caro, dobbiamo colorare un po' quel gentile signore. Nel mio capanno ho almeno due dozzine di latte diverse. Portale qui, cortesemente, abbiamo piuttosto da fare!

Alla vista di Biagio, l'uomo si era fatto, se possibile, ancora più terreo e balbettava parole inintellegibili. Sicuramente sarebbe stato più chiaro dopo una bella colorata! Eppure quello strano uomo non sembrò felice di essere colorato! Che cosa bizzarra. Cominciò a gridare e a chiedere aiuto, come se gli stessero facendo del male! Smise solo quando lui gli mise in mano una tazza di tè. Non che avesse in mente di offrirglielo, in realtà: gli serviva un posto dove appoggiare la tazza, perché l'orologio inzuccherato aveva cominciato a suonare in maniera fastidiosa e lui non riusciva a bloccarlo con una mano sola.

Quando ebbe dato una sonora martellata all'orologio, si girò e trovò l'uomo, tremante, intento a sorseggiare il tè. Colorato era molto meglio! Biagio aveva fatto un buon lavoro: le scarpe ora avevano magnifiche chiazze arancio e blu, i pantaloni erano a spirali violette e verdi, il giaccone era diventato un sole. Il maglione era un vero capolavoro: non c'era modo di contarne i colori, davvero!

- Buongiorno e benvenuto nel mio ufficio! - esclamò, finalmente soddisfatto.

L'uomo si guardò intorno, deglutendo leggermente.

- Ufficio?

- Sì, signore. Questo è un ufficio di collocamento per sogni disoccupati. Lei è un sogno?

- Non saprei davvero - mormorò tristemente.

Il Cappellaio lo guardò, dalla punta dei capelli dritti verso il cielo alle scarpe variopinte. Ma soprattutto gli guardò la punta del naso. Non puntava da nessuna parte! Questo non è certo un bene, lo sanno tutti!

- Caro signore, lei è qui perché è un sogno disoccupato, altrimenti non so perché avrebbe dovuto varcare la mia porta. Aveva forse solo desiderio di farsi colorare i vestiti? - domandò, con un dubbio improvviso, ma l'uomo aveva scosso il capo.

- È qui solo per il tè?

- Ma no, di certo! Io preferisco il caffè.

- Oh, perbacco, fingerò di non aver sentito, suvvia! - il Cappellaio chiuse gli occhi indignato. - Quindi lei è un sogno disoccupato. Di chi è stato il sogno?

Come già altre volte, il Cappellaio vide negli occhi dell'uomo svolgersi i ricordi del passato: di quando era un bimbo, sogno dei suoi genitori, di quando era stato il sogno di quella ragazza dai capelli rossi, così bella e innamorata. Lo vide sogno di suo figlio, che lo guardava con gli occhi sgranati leggere le favole. L'uomo era stato tanti sogni, ma ora?

- Perché lei non è al lavoro come sogno? Lei mi è sembrato un ottimo sogno, di prim'ordine, un sogno di tutto rispetto! Lei mi sta facendo perdere tempo e non ha neppure ringraziato Biagio! Ora vada, vada e si metta al lavoro che la Regina non apprezza i perdigiorno e gli uomini grigi. Vada e compri un libro, che quella libreria ne è troppo piena, potrebbe straripare.

E mentre l'uomo si infilava carponi nella porticina, pensò che aveva davvero bisogno di un nuovo orologio.

La Libraia del turno di notteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora