Zaha

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La donna avanzava lenta, nel selciato. La valigetta che portava nella mano destra era pesante, come le sue palpebre e i capelli sfatti dal caldo, nel pomeriggio estivo. Con un leggero lamento, si stirò la schiena, guardandosi intorno. Il tabellone degli arrivi e delle partenze era abbastanza lontano da risultare offuscato, ma abbastanza vicino da essere intuibile: per fortuna era arrivata in anticipo sufficiente per poter osservare. La donna avanzò ancora, poi si fermò, lasciando cadere la valigetta accanto ai suoi piedi. Aveva due grosse scarpe maschili sotto una mantella sottile e avvolgente. Zaha, questo era il suo nome e molti la reputavano particolare.

- Sei un'originale, Zaha! – era stata l'esclamazione di ogni giorno di sua madre, quando ancora i suoi occhi erano due smeraldi che illuminavano il giorno.

Gettò indietro la testa, per guardare in alto. L'edificio era vecchio, con la vernice scrostata e i graffiti come malerba. Si voltò indietro, per lasciare che il suo sguardo felino abbracciasse il circondario, assorbendone l'atmosfera. L'erba giallognola contendeva lo spazio all'asfalto e intorno un bel niente. Sospirò, indecisa: quel posto mancava di bellezza. Non aveva una bellezza dimenticata, no. La bellezza non era mai entrata in quei luoghi, anche se la vedeva negli occhi della gente. Era lì che scoppiava la vita: un viluppo, un garbuglio, un incredibile intrico di voci, risa, grida, sguardi! Gli occhi di Zaha risero: la sua fantasia era una continua lite tra il suq di Bagdad e la Bauhaus e quel luogo era uno specchio fedele dei suoi contrasti. Inspirò forte, scostando la mantella e mettendosi a sedere: l'avrebbe trasformato.

Prese un blocco e cominciò a prendere freneticamente appunti, muovendo le dita sottili con precisione e velocità. A distanza, la guardava un uomo. Non era il suo uomo e questa non è una storia d'amore. Zaha era sola e respirava discrezione. Ma doveva ardere quella terra con il fuoco della sua decostruzione, doveva bruciarne le fondamenta e cospargerle di sale. Poi, la vita sarebbe rinata dal nulla che aveva creato, fenice stridente tra le ceneri e le fiamme. Tra gli occhi socchiusi Zaha vide: avrebbe dato vita a un drago, un immenso drago disteso pigramente sulla pancia. Avrebbe inghiottito treni e passeggeri, nel suo ventre sinuoso. Avrebbe lasciato le scarnificate ossa dei suoi pasti in quella terra sterile e incolta, le avrebbe rese arte.

Ricordava quando le dicevano: sei un'artista! E non male per una ragazza!

Scosse il capo: una giovane donna dalle lunghe gambe stava avanzando come una gazzella, scuotendo la chioma lunga e inanellata, seguendo una musica gitana che risuonava solo nella sua mente. Sulle spalle sottili uno zainetto di libri e dietro un peso di sguardi.

Vai all'università, ragazza? Pensò, tra sé e sé. Forse un tempo le aveva assomigliato. Il suo volto non era poi tanto rugoso, non era vecchia, Zaha. I suoi capelli non erano più lussureggianti come la chioma della ragazza, ma erano un curato bagliore sul suo volto scuro. Il naso importante aveva le narici leggermente inarcate, segno sicuro del suo carattere altezzoso, secondo alcuni. Rise ancora e si ritrovò a riflettere di come l'età le avesse portato in dote la capacità di trovare divertente perfino la stupidità.

Adesso era un uomo robusto a passare, senza curarsi di urtare persone o bagagli. Lo sguardo vacuo non era quello del padrone, ma quello indifferente del vento che spazza un prato. Un gruppo di ragazzi si chiamava vivacemente, rincorrendosi.

Non vale la pena di lottare per ogni singolo sguardo, si disse. "La vera battaglia è fare un buon lavoro", era questa la sua frase mantra. Quella che ognuna delle persone che lavoravano con lei conosceva come il suo nome e cognome. Adesso era il momento di dar fuoco alla vecchia stazione e dar vita al drago. Adesso era il momento di far volare le mani sui tasti del suo computer, inondarlo di ipotesi e calcoli. Era il momento di muovere la matita sul foglio, lasciando libera la sua immaginazione di andare oltre qualsiasi vincolo precostituito. Non era il momento di avere il consenso universale.

Zaha si rialzò. L'uomo che la guardava le si affrettò incontro, deferente. La rispettava, anche se non capiva niente del suo lavoro e si limitava a portarla in giro. Non si poteva dire lo stesso di altri del mestiere!

- Ha visto ciò che desiderava, signora? Possiamo andare? 

- Sì, ti ringrazio. Possiamo andare 

Il 6 giugno 2017 fu inaugurata la stazione di Napoli Afragola e dedicata, dal sindaco Tuccillo, alla memoria dell'architetto e matematico Zaha Hadid, che l'aveva immaginata e progettata

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Il 6 giugno 2017 fu inaugurata la stazione di Napoli Afragola e dedicata, dal sindaco Tuccillo, alla memoria dell'architetto e matematico Zaha Hadid, che l'aveva immaginata e progettata. Zaha Hadid, morta a 65 anni in seguito a un arresto cardiaco, non fu mai una figura convenzionale e le sue opere hanno creato rumore e clamore, ovunque nel mondo. Nel 2004 è diventata la prima donna a vincere il Premio Pritzker di Architettura, che in architettura equivale a un Premio Nobel. In quanto donna – e in quanto musulmana – si trovò a fronteggiare pregiudizi e ironie, ma la sua idea guida era che La vera battaglia è fare un buon lavoro.

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