Cristina

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- No, tu non sei così – mi rispose, con tono di voce pacato.

Ero sveglio da un giorno. Avevo aperto gli occhi in una bara di cristallo, come una fottuta Biancaneve. Non credo però esistessero più foreste in cui fuggire, al mondo. Il primo barlume di luce mi ferì gli occhi; non ne fui semplicemente accecato: sentii un dolore acuto, come se mi ci avessero conficcato degli spilloni roventi. Percepii i primi suoni, dopo vent'anni, rumori artificiali e una voce femminile, bassa, da contralto, che chiedeva di abbassare le luci. Le fui grato.

Provai a sollevarmi, ma non ci riuscii. Le mie fasce muscolari non ressero neppure lo sforzo di sollevare il capo per guardarmi meglio intorno. Sentii una puntura in un braccio e poi, di nuovo, il buio.

Quando mi svegliai, stavolta, ero su un letto, duro come la pietra. La luce mi dava ancora le vertigini e sentivo una leggera nausea, ma avevo molta più forza. Mi chiesi cosa accidenti mi avessero iniettato. Riuscii a mettermi a sedere, acquisendo consapevolezza della mia nudità. Sentii un brivido e vidi i peli delle braccia rizzarsi, mentre passavo lentamente le mani lungo il corpo. Mi sembrò di riprendere possesso della pelle, dei muscoli. Una voce mi fece sussultare.

- Sei sveglio.

Riconobbi la voce femminile che aveva accolto il mio primo attimo di luce e cercai freneticamente di coprirmi.

- Non imbarazzarti, papà, sono io.

Il cuore perse un battito. No, non perse un battito, sto dicendo una sciocchezza! Il cuore si lacerò, si rivoltò e si ricompose in un secondo. Davanti ai miei occhi, c'era una donna adulta, le prime rughe come un leggero chiaroscuro attorno agli occhi. Il volto ovale era perfetto e privo di espressione. Avrei voluto farle così tante domande che non sapevo neppure da dove cominciare. Mi guardai di nuovo intorno e lei mi porse dei vestiti, accennando un sorriso condiscendente: mi sentii un bambino. Quella era la mia Cristina. La mia Cristina! Quando mi avevano spento, aveva tre anni e si sporcava di cioccolata fin sui capelli.

- Dove siamo?

- In viaggio. Questa nave è diretta su Kepler 452-b.

Un altro calcio nelle palle. Kepler 452-b. Lì avevano spedito Angela, dopo le proteste di ottobre. In una bara gelida come la mia.

- Perché?

Lo so che urlai. Urlai con quanto fiato avevo in gola. Mi guardò e sentii morire la voce in gola quando osservai la sua faccia: chi le aveva tolto qualsiasi espressione? Sembrava appena vagamente stupita e infastidita.

- Tu non sei questo qui. Deve trattarsi di un effetto dell'inversione del processo criogenico. Ci avevano detto che poteva accadere. Non dovresti essere ostile, lo comprendi? Dovresti essere grato. Sei diretto su un nuovo pianeta, puoi ricominciare a vivere.

La voce era morbida, monocorde. Spenta. Mia figlia era un guscio. Mi allontanai, consapevole di sembrare un animale selvatico messo in trappola. Infilai lentamente la biancheria. Gli indumenti che mi aveva porto erano semplici e morbidi. Rallentai il respiro: Cristina. A un anno e mezzo era ruzzolata giù per le scale d'ingresso della casa, sotto i miei occhi, e non mi ero mai sentito più inutile di così.

- Cos'è successo alla Terra?

- La Terra è morta. Il suo tempo era finito, ci avevano avvisato. Ci pensano sempre loro, devi stare tranquillo.

- Loro? Con chi sei cresciuta? Chi c'era con te quando eri bambina?

La condiscendenza si fece più visibile sul suo volto.

- È normale che tu non lo sappia. Ci hanno cresciuti loro. Noi bambini eravamo soli! Non te ne faccio una colpa, ci hanno spiegato quanto fosse necessario. Sono tante le cose che non hai vissuto, ma non devi preoccuparti, ora imparerai. Loro agiscono per il bene comune, è semplice buon senso ascoltare.

- Eri in una specie di orfanotrofio? – le chiesi, storcendo la bocca.

- Non so di cosa tu stia parlando. Sono cresciuta con gli altri bambini nelle case bianche. Come tutti.

- Tutti... che intendi, Cristina? Non c'erano più persone, non c'erano più adulti?

- No, decisamente tu non sei così. Ho visto delle registrazioni di te, di prima. Mi sembri poco lucido e non lo eri. Anzi, sei stato il primo a dire agli altri che la Terra stava finendo e dovevamo cercare un altro pianeta. Dovrei chiamare qualcuno per farti controllare. Gli effetti stanno durando più del dovuto!

- No, Cristina, no! Che dici? Non è vero, non ho mai fatto una cosa del genere! Cercare un altro pianeta per far cosa? No, c'era la guerra, tu non lo sai, eri piccola, tu...

- No, papà. Sei tu che non lo sai. Io lo so. Non c'è mai stata nessuna guerra. Voi vi siete offerti volontari per farvi criogenizzare e farvi spedire su altri pianeti, così da trovare un altro posto in cui stare. Ammiro il tuo coraggio, ma adesso sarebbe più opportuno tu abbassassi la voce, controllassi il ritmo delle parole e comprendessi. Le emozioni sono dannose, dovresti saperlo.

Cristina. Si addormentava con la boccuccia aperta sul seno di Angela, da neonata, e profumava di buono. Poteva strillare più forte di qualsiasi bimbo io abbia mai conosciuto, se aveva sonno. Scossi la testa, appena conscio che dalla mia bocca stava uscendo un debole lamento. La vidi digitare rapidamente su un tastierino posto accanto al letto. Un lungo tentacolo metallico mi avvolse le spalle. Sentii la testa ovattata e le membra pesanti; mi accasciai al suolo, cosciente ma inerte.

- Puoi ascoltare, lo so. Su Kepler 452-b raggiungeremo la mamma e invertiremo il suo processo criogenico. Poi sarete chiusi nelle case bianche. Di solito ospitano i bambini ma voi non siete adulti come gli altri. Dovete imparare. E quando avrete imparato potrete uscire e sarete pronti a vivere nel mondo nuovo. Loro vi guideranno, non devi aver paura.

Il panico mi aveva ottenebrato la mente. Il respiro, affannoso, sembrava bloccarsi in gola e soffocarmi, soffocare le grida che avrei voluto far salire al cielo, che avrei voluto così forti da raggiungere Angela nella sua bara gelida.  

La Libraia del turno di notteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora