CAPITOLO 1

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Il mio nome è Natalie, ho 16 anni e quest'anno ho finalmente guadagnato la mia tanto agognata libertà.

La mia storia e' simile a tante altre, non sono un caso unico, una mosca bianca come si suol dire. No, purtroppo di ragazze come me ce ne sono molte e probabilmente ce ne saranno molte altre.

Racconto la mia storia per loro, perche' si meritano una voce, perche' e' giusto che le persone sappiano quanto l'uomo puo' essere crudele e spietato, perche' forse possiamo tutti migliorare.

E a tutte quelle ragazze come me dico: non abbiate paura, non nasondetevi. Tutto cio' che vi e' capitato non e' colpa vostra, voi siete speciali, siete guerriere e vi meritate il meglio. Lottate come avete sempre fatto, perseverate e non arrendetevi, il sole splendera' anche per voi.

Adesso torniamo a me.

A 6 anni sono stata violentata da mio padre. Come avrei voluto che finisse tutto lì, una volta, un'unica sofferenza, che mi avrebbe comunque distrutta e segnata, ma forse sarei riuscita a superarla. Invece la cosa è andata avanti fino ai miei 14 anni. Quando un giorno i nostri vicini, passando davanti a casa hanno sentito dei rumori strani, si sono insospettiti, perche' da fuori la nostra appariva come la famiglia perfetta, mai un litigio, mai rumore, quindi il frastuono che sentivano lì ha preoccupati. Hanno suonato e bussato alla porta, ma nessuno gli ha risposto, poi si sono accorti che era aperto e sono entrati. Pensavano di farci un favore, di aiutarci.

Mi viene da sorridere a rivedere la scena nella mia testa.

La loro faccia quando mi hanno vista stesa sul pavimento, in acrime, con sopra mio padre che si divertita con me, credo che non la dimnetichero' mai. Come non potro' mai scordare il mio volto riflesso nei loro occhi, il terrore che mi sono letta addosso, la rassegnazione e il desiderio di morte.

Sara' strano, ma in quel momento avrei solo desiderato morire, sparire per sempre. Mi vergognavo di me e del mio corpo, dei segni da cui era coperto e da quello che mi lasciavo fare.

Alla fine hanno chiamato la polizia e non c'è stata scusa che tenesse, nessuna giustificazione avrebbe battuto due testimoni oculari.

Alla fine del processo, io sono finita in una casa per matti, mio padre in prigione e prego che da lì non esca mai.

Mia madre vi chiederete?

Dopo aver scoperto la "relazione", se così vogliamo chiamarla, tra me e mio padre è uscita dalla porta di casa e non è mai tornata. Non e' stata al mio fianco durante gli interrogatori, quando in ospedale mi hanno visitata, spogliata e toccata. Mi hanno rivoltato come un calzino, trattata come una ciavia da laboratorio, senza riguardo per la mia eta', la mia sensibilita' o quello che avevo subito. Per i medici ero solo un corpo da analizzare, una fonte di prove e lei non era lì a sostenermi. Anche durante il processo non era lì a confortarmi, era completamente da sola, circondata da estranei, pronti a giudicarmi. Ho dovuto ripetere cosi' tante volte quello che mi aveva fatto, vedendo immagini e spiegando anche i piu' torbidi dettagli, che e' come se avessi vissuto tutto di nuovo.

E nonostante tutto lei non c'era.

Nell'unica lettera che ha lasciata per me mi ha incolpato di tutto, ha rimpianto di avermi dato la vita e giurato che si sarebbe dimenticata di me.

Io per lei ero morta.

Che madre esemplare!

Dopo due anni di sedute psichiatriche, di medicine e controlli continui sono finalmente libera.

Sono stati due anni lunghi e molto difficili. Bisognerebbe veramente rivedere l'organizzazione di queste strutture create per aiutare giovani "problematici". Cosi' mi hanno definito e cosi' chiamavano tutti gli altri ragazzi che erano li con me. Ognuno aveva a sua storia e a parte qualcuno con reali problemi psichici, tutti gli altri stavano solo lottando contro le ombre del proprio passato, e non erano i medicinali di cui avevano bisogno, non erano parole vuote e insulsi lavoretti di gruppo.

The Darkness of LifeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora