CAPITOLO 8

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È iniziato un nuovo giorno e ogni minuto che passa la mia ansia aumenta sempre di più. Ormai la mia decisione è presa, ma devo anche renderla nota a Mark. Dopo gli avvenimenti di ieri non mi è più possibile lavorare lì da lui, è troppo pericoloso, ormai ha capito il mio segreto e non so e non voglio sapere cosa stia tramando con Sieg. Non posso correre nessun rischio, se si venisse a sapere cosa faccio, sicuramente verrei rispedita in qualche manicomio, chiusa in una stanza bianca senza finestre, di nuovo alimentata da un sondino.

Basta pensare! Basta pensare!

Devo distrarmi in qualche modo oppure il mio cervello continuerà a riportare alla mente immagini che vorrei proprio tornassero nel cassetto delle cose da dimenticare.

Alla fine mi ritrovo fuori a camminare senza una meta precisa, mi guardo intorno e osservo le persone che mi camminano accanto. Persone di corsa, pensierose, occupate, innamorate, felici e poi di tanto intanto qualche anima persa come me. Il nostro sguardo si incontra ma abbiamo entrambi troppa paura dell'altro per avvicinarci. Sarebbe bello avere qualcuno che ti capisce con cui parlare ogni tanto, ma non sono pronta a condividere la mia storia, le mie emozioni. È vero che sono stata obbligata decine di volte a ripeterla, ai detective, in tribunale, ai medici, ma non ho mai messo sentimento in quello che dicevo. Era come se raccontassi una storia, come ripetere una filastrocca a scuola. E quando loro mi chiedevano come stavo, cosa provavo, non ho mai risposto, per il semplice fatto che non c'era e non c'è risposta, perché io non provo più niente. Le uniche sensazioni che riesco a provare di tanto in tanto sono la paura e il panico,quindi meglio esercitarsi a non sentire niente, nella speranza che un giorno spariscano anche loro.

Sono le 14.00.

Non posso più aspettare, devo chiamare Mark per forza. Ammetto che un pochino mi dispiace lasciarlo così su due piedi, per lui non sarà una serata facile. Ma la colpa non è mia, o meglio, sì è mia, perché io sono sbagliata. Ma se lui non avesse capito niente, se avesse fatto finta di nulla, non ci sarebbero stati problemi.

Mi siedo su una panchina nel parco, non sapevo nemmeno che ce ne fosse uno vicino a casa.
Devo smetterla di cercare cose con cui distrarmi!
Prendo un respiro profondo e mi decido a comporre il numero di Mark.

Uno squillo...due squilli...

- Natalie tutto bene? - perché dovevi rispondere così in fretta? Anzi potevi non rispondere proprio!

- Ciao Mark, si tutto bene, ma devo parlarti - tira un sospiro di sollievo e mi invita ad andare avanti - non posso venire al lavoro oggi... -

Tra di noi cala un silenzio imbarazzante, non ho avuto il coraggio di dirgli la verità. Ho paura della sua reazione, lui sa anche dove abito, cosa farei se venisse a cercarmi per vendicarsi.

- Natalie... - è serio, molto serio, inizio veramente a temere per la mia incolumità - se non puoi venire al lavoro DEVE essere successo qualcosa. Ti prego parla con me, io posso aiutarti -

Sembra sinceramente preoccupato, ma non lo sembrano sempre tutti? Ti fanno credere di tenerci a te, ti fanno affezionare e poi ti pugnalano alle spalle. Per ferirti meglio e più a fondo.

- Mark - non posso cedere, per nessun motivo - non è successo nulla e non ho bisogno d'aiuto, però non posso venire stasera, anzi a dir la verità non potrò venire più. Devo rinunciare al posto, mi dispiace, ma mi licenzio. - non aspetto nemmeno la sua risposta e chiudo la comunicazione.

È fatta. Non ci posso credere. Non posso credere di averlo fatto veramente. Ho tenuto testa a un uomo.
Mi vien da ridere in automatico, non so se è una risata isterica o di felicità, ma dopo tanto tanto tempo provo un pochino di stima in me. Sono orgogliosa di quello che ho fatto.

The Darkness of LifeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora