Era considerata la migliore attività ricreativa, la musica. Diceva che allietava gli animi, il dottor Popov, ma principalmente allietava il suo. Quello scheletro del manicomio, sembrava ospitare un orchestra, ogni dannato venerdì, quando dopo la colazione, chi dopo essere stato ingozzato a forza, e chi invece era morto di fame con due biscotti ed un bicchiere d'acqua, abbracciava lo strumento musicale scelto, come un salvagente da aggrappare nel mare in tempesta. Violini, viole, pianoforti, percussioni, violoncelli, flauti, trombe, c'era di tutto, ed erano sempre accatastati in un angolo, come in punizione.
Era il dottor Popov stesso a gestire l'organizzazione di quei concerti, e aveva con sè la sua vecchia, sterile moglie, russa anche lei, grassa che sembrava scoppiare. Aster non riusciva a guardarla in faccia quella polistrumentista, perchè pensava a tutto quello che ingeriva, tutto quello che masticava, che diventava quel lardo che colava agli angoli dei vestiti, la rendeva una massa informe di materia, come quella che frantumava fra i denti, appicciosa, unta, bavosa.
-Prendete gli strumenti, deti.-
Li chiamava bambini, perché per lei erano tutti dei poveri cuccioli abbandonati al loro destino; eppure l'uomo con cui condivideva la fede li considerava ratti da laboratorio, bianchi e candidi portatori di peste.
- Tu non prendi uno strumento, dorogoy? -
Ed ecco che lo guardava in faccia quella grassa, pustola nel mondo, obrobrio, porcheria.
Due uova, cinque fette di pane con il burro, bacon, latte, succo di frutta, biscotti, uva, arance: tutto quello che aveva mangiato sembrava fare a pugni nello stomaco, con un piccone risalire l'esofago, aggrapparsi all'epiglottide per fare un salto fuori dalla sua candida bocca.
Ma in realtà dalle sue labbra schiuse non uscì neanche un suono, quegli occhi gelidi, quello sguardo lontano, quella maschera senza sentimenti, guardava e basta, pensava, contava i giorni della fine di quella tortura.
Dagli occhiali rotondi, quei piccoli occhi da porco li fissavano da lontano, mentre il resto del corpo era rigido, composto: a cosa pensava il dottor Popov? Sicuramente di poter estorcere qualche parola da quell'angelo caduto, che da solo aveva deciso di cucirsi le labbra, aspettando che della bocca e della sua voce se ne scordasse il mondo.
Si mosse in tutta calma, con le mani nelle tasche di quegli pantaloni di tuta bianchi. I ragazzi stralunati guardavano quegli strumenti, ed imbarazzati nessuno sapeva cosa scegliere. Un ragazzino grasso da far schifo aveva gli occhi fissi sul pianoforte, una cosa fin troppo elegante per lui, che era rozzo ed informe. Una ragazza magrissima, da sembrare uno stecchino, guardava con ammirazione un trombone, e chissà da dove diamine avrebbe preso fiato per lasciar uscire una sola nota da lì.
Sapeva già suonare il pianoforte, e non lo guardò nemmeno, per non dare la soddisfazione a quello scienziato di guardare attraverso i tasti bianchi e neri, la sua anima screziata.
Fu il primo a scegliere, e non si stupì neanche lui che avrebbe dato inizio alle danze delle mani e delle bocche, che nei giorni a seguire lo avrebbero ossessionato, quella musica che avrebbe suonato ed imparato di nascosto da spariti rubati, suonati a miglia di distanza da quella struttura senza che nessuno mai lo sapesse. Non si stupì nemmeno quando si ritrovò a cercare la perfezione fra le note suonate da quello strumento che aveva scelto: il violino.
Abbastanza acuto da somigliare ad un grido di dolore, abbastanza piccolo da scomparire, abbastanza potente da arrivare a cuore e mente, fino a spezzarli.
Eppure la perfezione di quelle note, non arrivò mai alle orecchie dei Popov, non erano degni secondo il figlio di Loki. Non ne era degno nessuno, e quindi contribuiva allo scatafascio di quella compagnia di rovinati, suonando senza piacere, resistendo alla voglia di far contrapporre le corde del suo cuore a quelle dello strumento.
Lo prese con quelle mani esili, e lo tenne stretto a sè come se fosse l'unica arma che poteva utilizzare in quel momento, contro quei coniugi che si nutrivano della pazzia altrui.
E tutto convinto improvvisamente come destosi da un sogno, quell'uomo viscido si avvicinò e disse in quell'inglese perfetto, che neanche gli si addiceva:
- Suona, Aster.-
Si erano voltati tutti e tutti i pazzi facevano silenzio, per vedere se ancora una volta lui, che fra tutti avrebbe fatto la loro voce, attendevano che scucisse quel filo che teneva lui serrata la bocca, che si rischiarasse la voce.
Ma dopo un lungo silenzio lui non aveva emesso suono, e stava lì fermo a fissarlo, e nel vetro occhiali Aster sembrava far parte della parete alle sue spalle, inesistente.
- Maledizione, ho detto SUONA!-
L'unico finto sano di mente perdeva la testa, perchè non ne poteva più di esser preso in giro in quel modo, non ne poteva più di quel silenzio, che tanto invece era speciale ed unico per il ragazzo, e lui lo stava spezzando, per di più osava dargli ordini, e lo minacciava, mentre a passi larghi lo aveva afferrato per il braccio scuotendolo.
La moglie aveva detto qualcosa, quella bavosa lumaca aveva fatto dei passi in avanti, ma non aveva potuto fare niente: il violino venne afferrato dal ragazzo per la testa, sui piroli.
Suonò leggermente, fatta vibrare per errore, la corda di sol, per l'ultima volta, e quel suono si propagò nel luogo ed era simile all'ultimo urlo del dottore.
Lo strumento tanto sottile e bello, si frantumò sulla testa di quel vecchio bastardo con una forza fuori dal comune, ripetutamente colpito alla testa senza alcuna pietà, gli occhi del ragazzo, limpidi, lucidi, mentre compiva il gesto e mentre utilizzava le corde in metallo per cingere il collo del dottor Popov, che non aveva avuto neanche il tempo di mormorare qualcosa, e neanche lo avrebbero sentito quel demonio dalla faccia tinta del suo sangue, perché erano rimaste nell'aria le note spezzate di uno strumento martoriato.
Venne portato via sollevato di peso senza neanche che opponesse resistenza, addormentato da una fiala direttamente svuotata in vena, e fu salvato dalla morte in estremis quel verme.
Sì, la musica era un ottima attività ricreativa.
YOU ARE READING
OPHIS
General FictionLa vita è una sensazionale melodia di morte, si può esser musicisti o strumento. Si può scegliere di esser la graziosa mano che si adagia fra le corde, si può esser in balia di quelle mani, che venerate come dee dell'amore, ci permetteranno di esser...