Capitolo undici

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"Hai scavalcato il cancello di una villa"
"L'ho fatto"
"Hai guardato il ragazzo che ti piace mentre forzava la serratura di una porta"
"L'ho fatto"
"Hai nuotato in una piscina al coperto con lui"
"L'ho fatto"
"Eri mezzo nudo"
"Lo ero"
"Stavi per tornare a casa"
"Si..."
"Lo hai guardato mentre rientrava a scuola"
"L'ho fatto"
"E poi l'hai chiamato per chiedergli di uscire di nuovo domani"
"L'ho fatto"
"E lui ha detto di si"
"Si..."
"Ora ci credi?"
"No, non ancora"
"Come no!"

Era sera tardi e avevo raccontato della mia giornata ad Alex, che mi aveva creduto subito, a differenza di me che, riascoltando il mio racconto, avevo dato per certo che avessi sognato.

Non so con quale coraggio avevo richiamato Noah.
E il suo sorriso, quella smorfia che diceva "sapevo che sarebbe successo", come sapeva che lo avrei seguito dopo scuola, mi aveva stuzzicato e,in un certo senso, incoraggiato a parlare.

"Stai impazzendo"
"Lo so"
"Ma ne vale la pena?"
"Non lo so"

Quando mi sveglio, la mattina dopo, faccio tutto senza un vero senso logico: mi vesto con dei vestiti presi a caso,butto un quaderno nello zaino e una penna di Alex, fiaccamente mi dirigo prima in cucina per fare colazione poi per strada, con il vento pungente della mattina.

Arrivo a scuola con sguardo distratto e non veramente presente.
Entro in classe e mi siedo accanto a Renè.
Sbadiglio afferrando il libro di storia e mi metto a fissarlo.
"Ethan stai bene?"
Annuisco continuando comunque a prestare interesse al libro.
"Noah ti sta guardando"

Alzo di scatto la testa aspettandomi di incontrare i soliti occhi disinteressati e annoiati del grigio ed invece
rimango abbastanza sorpreso constatando che oggi sembrano avere una sfumatura diversa che, ovviamente, io non riesco a decifrare.
Noah mi sorride con una smorfia e mi fa il gesto di afferare qualcosa, dopo di che mi lancia un bigliettino e si gira per non essere sgamato dalla prof.
Ovviamente, con le mie mani di mozzarella che ho, non lo prendo e lo raccolgo da terra.

Leggo: "Dopo scuola vengo a casa tua".
Arrosisco e cerco di incontrare di nuovo il suo sguardo.
Che significa che viene a casa?
Vuole stare a casa con me?
Ma... Alex!
Sarà tutto un casino in casa.
Calzini sporchi dappertutto, letti in disordine, il frigo vuoto...
E poi possibile che si sia auto invitato in questo modo?

Mostro il bigliettino a Renè che strabuzza gli occhi.
"Tu vieni" dico subito.
"Non vengo!"
"Oh si invece! Io, solo con lui??"
"Ma se ieri lo hai fatto"
"No no no"
"Ethan non ti permettere! È un'occasione d'oro!"

Passa l'ora e lui esce per primo, ci metto due secondi per mettere apposto i libri nello zaino e lo seguo.
"Noah!" grido, lui si gira e mi guarda accigliato.
"Cosa intendevi con vengo a casa tua?" lo raggiungo.
"Che pranzo da te."
"P-perchè? C-cioè no che mi dispiaccia..."
"Ho già fame, non so cucinare e ho finito i soldi"

Lo fisso incredulo.
Mi sta usando perchè altrimenti non pranzerebbe? Sul serio?
Lo guardo in cagnesco, ed è una reazione instintiva, ma poi lui aggrotta le soppraciglia, gli occhi ,tutto d'un colpo, si fanno come più luminosi e mi entra dentro.
La solita strana sensazione dove mi sento vorticare e sento che è lui che comanda. Comanda sul mio cuore, mi fa impazzire il cervello e io posso solo cercare di scorgere il sole tra le nuvole, grigie come i suoi capelli.

Sbuffo:"E va bene"
Sorride:"Staremo soli zuccherino?"
"No, immagino che dovrò presentarti al mio conquillino"
"Ok", fa spalucce e Renè ci raggiunge.
Quest'ultima inizia a lamentarsi dei compiti di storia, troppo lunghi e noiosi, e noto che Noah si morde spesso il labbro,come se trattenesse un qualche dolore fisico.

Lo studio per capire cosa abbia e noto che non cammina regolarmente.
"Ti sei fatto male al piede" affermo.
Non è una domanda.
"Scavalcando il cancello" completa, rispondendomi autonomamente.
Mi guarda, e facciamo contatto visivo.
"Mi ero anche preoccupato se ti fossi fatto male anche tu"
Preoccupato??
"N-no, sto bene"
"Lo so, lo avrei notato altrimenti"
"Noti quando le persone stanno male?" chiede allora Renè,intromettendosi.
"Lo noto quando le capisco più di quanto credano" fa spalucce, creandomi in testa mille domande che non posso porre ad alta voce, semplicemente perchè avrei troppa paura di aver capito male,frainteso.
Perciò cade l'argomento e parliamo di scuola.

Più tardi, a lezioni finite, Noah mi segue verso casa. I suoi passi dietro di me mi provocano un po' d'ansia ma allo stesso tempo è come se mi confortassero.
Sta venendo a casa mia.
Sta sul serio per conoscere Alex e ,di conseguenza, conoscere anche me un po' di più. Dopotutto quella casa è tutto il mio mondo. Non penso si renda veramente conto che lui tra poco sarà tra quelle stesse mura che hanno silenziato pianti e vittorie, nascosto tutti i sentimenti più personali,proprio come dovrebbe fare in ogni caso la propria casa. Si, casa.

Quando finalmente arriviamo, apro con le chiavi. All'inizio girarle nella toppa richiedeva più forza di quanto avevo immaginato. Ora invece, ci sono abituato.

"Alex sono io e c'è anche un mio amico!" grido appena entrato, assicurandomi,con la coda dell'occhio, che Noah mi segua.
Il mio coinquillino biondo si catapulta nell'ingresso.
"Amico? Tu hai un amico?"
Oddio, è mio amico giusto?

"Si. Noah, Alex. Alex, Noah" gli presento nascondendo incertezza e imbarazzo nella voce.
"Noah!" grida Alex riconoscendo il nome e sorridendo all'istante come un bambino.
Il grigio lo guarda confuso.
Io scuoto la testa e chiedo ad Alex se possiamo ordinare la pizza.
Lui annuisce più volte come se non riuscesse a trattenere la gioia per poi andare via lanciandomi uno sguardo malizioso e indicando la camera da letto.
Sospiro.

"Vieni, stiamo in camera"

Rain of feelings  -Tematica GayDove le storie prendono vita. Scoprilo ora