Neve e melodie

978 39 13
                                    

Ludovica

Mi svegliai, i teneri raggi del sole mattutino che entravano dalle tende bianche lasciate appena scostate, senza neanche aprire gli occhi allungai il braccio verso la parte del letto di Filippo cercando il contatto con la sue pelle calda, ma non lo trovai.
Aprii gli occhi cercandolo nella stanza, le chiavi della macchina erano lì, il telefono appoggiato sul comodino, il suo giubbotto e il pacchetto di camel blu anche, mancava solo lui.
Presi un paio di pantaloni e un cardigan di lana da indossare sopra la sottoveste di seta leggera che portavo e scesi piano le scale per cercare di non disturbare il sonno di nessuno.
Al piano di sotto trovai Lorenzo appena sveglio, con gli occhi ancora assonnati intento a mandare un messaggio con il cellulare, si girò appena e mi sorrise sussurrandomi un "Buongiorno".
"Filo non era in stanza quando mi sono svegliata, hai idea di dove possa essere?" gli chiesi con la voce stanca e amareggiata.
"Mi sono svegliato adesso, non l'ho visto se vuoi ti aiuto a cercarlo...lo sai come è fatto avrà voluto isolarsi un po'..."
"Lo so, lo so...non preoccuparti credo di sapere dove possa essere, ci vediamo dopo" sussurrai con la voce delusa.

Mi chiusi il portone di casa alle spalle e appoggiandomi delicatamente con la schiena contro di esso mi accesi una sigaretta. Cercavo di mantenere la calma, tra una tirata di sigaretta e una boccata di aria fresca, tentavo di dare una spiegazione al suo comportamento. Ieri sera era deluso, amareggiato, arrabbiato e io non avevo pensato ad altro se non a stargli accanto per tutta la notte, per consolarlo e cercare di colmare il vuoto che sentiva nello stomaco. Ero sempre lì, accanto a lui, esattamente ad un passo dal suo cuore, pronta a sostenerlo, a comprenderlo anche quando era totalmente indecifrabile, a cercare di placare le sue ansie e paranoie, a dargli la forza necessaria per andare avanti e fare un altro passo insieme, ma non sembrava bastare. Ecco mi sentivo esattamente così, come se tutti gli sforzi fatti, i muri abbattuti, le volte che avrei voluto urlargli contro e invece ho cercato di giustificarlo tenendomi tutto dentro, fossero stati inutili perché tanto lui continua a pensare a se stesso, a distaccarsi, ad allontanarsi, ad innalzare l'ennesimo muro, ad isolarsi lontano da tutti quelli che potrebbero essergli d'aiuto.

Buttai a terra la sigaretta prima di calpestarla per spegnerla e decisi di avviarmi verso il mare di fronte alla casa del nostro amico, sapevo che Filippo potesse nascondersi lì per stare da solo e pensare un po'.
Infatti, dopo alcuni minuti, lo trovai su uno scoglio fisso a guardare l'orizzonte, chiuso in se stesso, rannicchiato come se si fosse costruito delle mura invalicabili intorno. Mi avvicinai lentamente, gli appoggiai la giacca sulle spalle sussurrandogli un "ciao" con tono distaccato, ma allo stesso tempo colmo di preoccupazione.
Con una mano tirò via il giubbotto dalle spalle, lanciandolo poco distante su uno scoglio, per poi alzarsi in piedi "Ho bisogno di stare solo, vai via!" urlò con la voce dura e ferma, con gli occhi talmente freddi da sembrare due lastre di ghiaccio.
"Non mettermi da parte, non di nuovo..." sussurrai cercando di fermare i battiti accelerati del mio cuore un po' per la paura delle sue grida e per non averlo mai visto così, un po' per la rabbia e delusione che stavano albergando il mio stomaco.
"Via, vai via, ti prego!" Urlò di nuovo, agitando le braccia e infilandosi le mani nei capelli, gli occhi questa volta erano leggermente arrossati e le pupille dilatate.
"Non può andare sempre così, mi logora questo comportamento, ogni volta che ti succede qualcosa ti isoli, sparisci, mi tagli fuori...io non ce la faccio così Fil, ho come la sensazione di non essere mai abbastanza, perché ogni cazzo di volta che hai bisogno di me mi escludi ed è come se ogni volta mi pugnalassi dritta nello stomaco..." alzai anch'io il tono di voce, avvicinandomi al ragazzo e gesticolando animatamente. Lo fissai negli occhi per lunghi istanti, restammo così in piedi, uno di fronte all'altra, battito di cuori all'unisono, il silenzio spezzato solo dalle onde del mare che si infrangevano sugli scogli; finché non decisi di voltargli le spalle e tornare verso casa.
"Aspetta, Ludo...aspetta, resta..." un sussurro, un mormorio appena udibile, sospirai profondamente, Filippo si era appena lasciato cadere sullo scoglio con il cappuccio della felpa che copriva di poco la testa, gli occhi persi nel vuoto, le mani tremanti che non riuscivano a stare ferme e solo il rumore del suo respiro che riempiva l'aria.
Il cielo era diventato improvvisamente grigio, si era riempito di nuvole, i capelli mossi da qualche folata di vento e il mare che iniziava ad incresparsi leggermente creando quella classica schiuma bianca a riva.
"A volte non ti capisco Filippo, davvero..." dissi con un lungo sospiro.
"Quando ho voglia di distaccarmi, di isolarmi, mi piace venire al mare. Mi perdo tra i suoi rumori dimenticando per un attimo tutti i pensieri che mi annebbiano la testa. Mi piacerebbe vivere al mare, magari con te, avere una piccola casetta da usare come rifugio quando intorno tutto sembra andare male, chiudi gli occhi e immagina: io, te e mille altri tramonti da vedere vista mare..." rispose, continuando a torturarsi le mani guardando l'orizzonte davanti a se e porgendomi un sorriso.
"Che succede?" chiesi semplicemente, sperando in una risposta, sperando in una spiegazione per il suo comportamento.
I brividi di freddo mi percorrevano ogni centimetro di pelle, il cardigan di lana non bastava a placare il freddo di quel vento di febbraio, lui se ne accorse avvicinandosi di poco al mio corpo e fissandomi un po' prima di rispondermi.
"Succede che...che mi sembra che tutto stia diventando dannatamente reale. Potrebbe essere il mio momento, ora ho un contratto con una grande casa discografica, tra pochi giorni uscirà il mio disco e avrò la possibilità di arrivare alle persone, di entrare nella loro vita come ho sempre sognato...ma..." si interruppe, come se i pensieri fossero troppo negativi persino per essere esternati, lo guardai dritto negli occhi incitandolo a parlare, a sfogarsi e buttare fuori tutto.
"Ma se alla gente non dovessi piacere? Se tutto dovesse andare male? Cosa farei? Non ho un piano B nella vita, non avrei più una valvola di sfogo, non saprei più che farmene di una vita ancora tutta da vivere se la musica mi dovesse voltare le spalle...so come funziona questo ambiente e so che se non spicchi il volo subito finisci nel dimenticatoio nel giro di qualche mese...e per me sarebbe la fine..." sospirò, tirando indietro un po' la testa e tentando di ricacciare indietro qualche lacrima.
"Ma non è solo questo..." sapevo che lo turbava qualcos'altro, che non stava dicendo tutta la verità.
"Ora che mi sembra di avere il mondo in mano, di poter finalmente combattere per la realizzazione dei miei sogni, l'unica persona che vorrei fosse orgoglioso di me non c'è....ho te, Lori, Ale, Jolanda, Giulio, mia nonna e tanti altri, ma lui no, lui manca ed è un'assenza che sento fino alla bocca dello stomaco."
Eccolo lì, esattamente davanti ai miei occhi, fragile, debole e insicuro come l'avevo visto poche volte, con gli occhi spenti e quell'assenza che creava un vuoto enorme dentro al suo cuore e il mio di cuore che ogni volta si spezzava un po' di più.
"Fil, posso solo immaginare quanto la mancanza di tuo padre si possa far sentire, quanto vorresti averlo accanto in questo momento; ma voglio dirti una cosa...se lui ha scelto di non esserci, di non sentire il cuore scoppiare d'orgoglio per un figlio che sta per spiccare il volo, è semplicemente perché un figlio meraviglioso come te non lo merita. - i suoi occhi sono fissi sui miei e le sue mani che cercano immediatamente le mie - per quanto riguarda la musica, credi davvero che sia basata su ciò che piace alle persone? Che sia tutto racchiuso lì? Fregatene, buttati in quest'avventura e non pensare in quanti ti ascolteranno perché tu ce la farai, stiamo parlando della tua vita, dei tuoi sogni, ne sono sicura e se riuscissi a credere in te almeno un decimo di quanto lo facciamo noi avresti la certezza di farcela!" dissi sorridendogli e accarezzandogli dolcemente la schiena.
Ci guardammo e fu un attimo: si avvicinò e appoggiò la sua testa nell'incavo del mio collo. Sentii alcuni singhiozzi uscire dalle sue labbra e alcune lacrime che bagnavano il tessuto del mio cardigan. Mi teneva stretta saldamente a se, come se avesse paura che scappassi. Sapevo che prima o poi sarebbe crollato, che avrebbe avuto bisogno di sfogarsi e urlare al mondo tutto quello che si teneva dentro da tempo.
"Ehi...ehi calmo.." dissi accarezzandogli dolcemente la schiena.
È stata l'ultima frase prima che si allontanasse da me per cercare con i suoi occhi i miei e farli incastrare tra loro.
"Ti amo" un sussurro, ma con un tono di voce e un sguardo talmente bello da spezzarmi il fiato per qualche istante, due parole dette in un modo in cui non era mai riuscito a dirle, che mi entrarono nel cuore con la potenza di aggiustarlo un po' e farlo riprendere a battere al ritmo giusto.
Poi le nostre labbra che si uniscono in un bacio che non ha bisogno di spiegazioni perché dentro nasconde tutto ciò di cui avevamo bisogno; la pioggia che comincia a cadere incessantemente dal cielo e qualche tuono in lontananza che non riescono nemmeno a sfiorarci, come se i nostri corpi fossero uniti in una gabbia indistruttibile, intoccabili, come se insieme fossimo invincibili. Ci bastava far sfiorare le labbra, battere i cuori e mischiare i respiri per tornare a vivere e dimenticarci del mondo esterno.




Fino in fondo all'anima|| IRAMA Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora