Freddo, tagli nel cuore e un dolore insostenibile

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Ludovica

Mi sembrava di poter sentire ancora il profumo di Filippo sulla mia pelle, tra le ciocche dei miei capelli, addirittura credevo fosse possibile sentirlo ancora sulle labbra, tra le pieghe attorno alla bocca.
Erano mesi che andava avanti quella situazione. Insostenibile. - Cristo, davvero insostenibile. -
Ormai sembrava che io e Lorenzo vivessimo in simbiosi e che il sedile blu di un treno diretto a Milano fosse diventato la mia seconda casa.
Succedeva sempre così: Lorenzo che mi telefonava perché Filippo non riusciva nemmeno a reggersi in piedi, perché non voleva uscire di casa, perché alzarsi dal letto o mangiare sembrava impossibile, perché dopo l'ennesima discussione usciva solo per andare a comprare qualche alcolico che, puntualmente finiva fino all'ultima goccia e che, puntualmente faceva di nuovo discutere i due amici. Mi chiamava in preda alla rabbia, al panico, alle emozioni peggiori perché stentava a riconoscerlo, in piena notte in balia di crisi di pianto perché gli sembrava che Filippo non fosse più la solita persona e di non riuscire più a salvarlo. - e cazzo, era la solita sensazione che mi prendeva lo stomaco. Quella di avercelo lì, guardarlo autodistruggersi e non poter fare nulla.
Quella orribile sensazione di sentirsi inutili. -

Erano mesi che continuavo a salire su quel treno, con la voce di Lorenzo dall'altro capo del telefono che mi ripeteva sempre le solite cose e quella dannata sensazione di paura nel cuore: arrivare a Monza e trovarlo sempre peggio rispetto alla volta precedente.
Entrare in quell'appartamento mi faceva stare male, tanto, tantissimo e sull'uscio di quella porta mi coglieva sempre un groppo alla gola, ogni volta. - ogni maledetta volta -
In alcune occasioni lo trovavo talmente ubriaco da non accorgersi nemmeno della mia presenza, altre con gli occhi gonfi e rossi dal pianto che stentava ad aprirli, altre ancora così debole da non avere la forza nemmeno per reggersi in piedi, altre arrabbiato, ma così arrabbiato da fare quasi paura. E ogni volta, il mio cuore si spezzava un po' di più, creava l'ulteriore crepa che non sarebbe mai riuscita a risanarsi, si apriva di più, di più, sempre di più. - tanto che a volte pensavo non potesse nemmeno resistere a tanta sofferenza -

Avevo la sensazione che ormai la mia vita fosse scandita dal rumore delle ruote del treno sui binari, esattamente quel rumore metallico - a tratti fastidioso, seccante - che aveva il potere di rendere tutto dannatamente estenuante.
In quei mesi capitava prendessi il treno a qualsiasi ora del giorno o della notte, che ormai vivessi su quei sedili blu che guardavano da spettatori lo sgretolarsi della mia storia d'amore - e forse contemporaneamente anche un po' della mia vita -

Quante lacrime versate su quei maledetti sedili, quante gocce di pianto asciugate con il dorso di una mano tremante all'ennesima chiamata di Lorenzo, all'ennesima crisi di Filippo, all'ennesimo viaggio.
Era un periodo che davvero stentavo a riconoscermi. Ero dimagrita molto, il viso scarno, triste, svuotato, gli occhi assenti, come se non volessero cedere alla cruda realtà. Nessuna risata, pochi sorrisi, - se non qualche espressione di un falso "va tutto bene, sto bene, posso farcela." - e una vita che sembrava scorrere tra le dita senza che avessi la lucidità per rendermi conto del passare inesorabile del tempo.
Ormai eravamo nel pieno dell'inverno ed era forse il periodo più brutto e duro vissuto fino ad adesso: Filippo in condizioni pessime, io e Lorenzo che cercavamo di sostenerci a vicenda per non crollare e la mia storia d'amore che si sgretolava come il muscolo cardiaco che portavo dentro al petto.
Erano mesi che un giorno era felice e sembrava andare tutto bene: ridevamo, scherzavamo, passavamo del tempo insieme, facevamo l'amore e tutto sembrava essere normale. Mentre il giorno dopo sembrava di essere catapultati direttamente all'inferno: urla, grida, la rabbia affogata in una bottiglia di vodka, attacchi di panico, sfoghi talmente dolorosi da finire a prendere a pugni il muro, la porta, i vetri o qualsiasi cosa capitasse a tiro.
E ogni volta, - ogni dannatissima volta - il mio cuore perdeva un battito, era come se fosse costantemente preda di centinaia di coltellate, come se degli spilli affilatissimi lo bucassero sempre, continuamente, ininterrottamente senza lasciargli tregua. - e non so per quante volte avrebbe ancora avuto la forza di reggere -

Fino in fondo all'anima|| IRAMA Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora