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1.

Quel mattino, la sveglia suonò alle tre e mezza di notte poiché Abraham voleva dare un'ultima ricontrollata ai loro borsoni. Naturalmente, fu lui a provvedere, come già aveva fatto durante la preparazione, che a Tyler non mancasse niente. Lanciò un'occhiata al fratellino assonnato che mangiava la colazione iperproteica a occhi chiusi. Ebbe voglia di chiedergli cosa ci facessero i tre album da disegno e le tre confezioni di carboncini non previsti, ma lui sgattaiolò via prima che potesse farlo.

Alle cinque del mattino erano già scesi nella piazza di Solelka, pronti ad attendere il pullman che alle sei sarebbe passato a prenderli. Ci teneva ad essere il primo.

Passò poco che i suoi amici iniziarono a sbucar fuori, accompagnati dai loro genitori, con arie non tanto più assonnate dal fragile Hydley Jr. -"quello secco". Quando il pullman giunse, erano già una ventina di ragazzi, tutti figli di Solelka. Abraham li aveva salutati a uno a uno, Tyler si era limitato a brevi cenni e un'alzata di capo. Tenne le distanze. Quella notte aveva sognato tutti loro incappucciati, in cerchio, con lui al centro, pronti a sbranarlo, e non aveva tanta voglia di porger l'altra guancia e trovarsela recisa via da un morso.

Suo padre, Hidley senior, salutò i rispettivi genitori e dispensò delle pacche bonarie agli amici del figlio. Al momento di andar via, raccomandò ad Abraham di star attento al fratellino e a quest'ultimo di non imbarazzare troppo il fratello maggiore.

«Fa' del tuo meglio» gli disse. «Per quanto ti sia possibile.»

Tirò su il proprio borsone che pesava quintali e lo faceva traballare da una parte all'altra, ma davanti agli occhi di suo padre non volle deluderlo facendosi aiutare da qualcuno. Pensò di farcela da solo, finché non vi inciampò sopra.

Tempestivo, Abraham lo tirò su, prese il borsone e lo caricò sul pullman insieme al suo, senza dimenticare di dare una pacca sulle spalle smilze e dirgli che era tutto okay. Sfinito, Tyler si voltò a salutare il padre, ma vedendolo scuotere la testa contrariato, pensò che forse sarebbe stato meglio ritrovarsi al ritorno quando, sperò, l'avrebbe ritrovato più forte di prima.

Il Campus si trovava a Blössom e poteva esser raggiunto solo arrampicandosi su una stradina di montagna tanto sferragliata che la paura di cadere in basso era più alta a ogni anno che la si affrontava da vivi.

A Tyler bastò poggiare la testa per sprofondare in un sonno fitto dove né le voci schiamazzanti né la musica proposta all'autista riusciva a svegliarlo. In quello stato comatoso non si accorse nemmeno del ragazzetto che gli si sedette al fianco.
Da Solelka avrebbero impiegato tre ore per raggiungerlo.

Dopotutto, era un bel posto, pensò: c'erano immense vallate di verde e un laghetto che, anche nelle ore più calde, sapeva come dare refrigerio; cieli blu così accecanti da far bruciare gli occhi e notti tanto fredde da non far credere nemmeno di essere in piena estate. Blössom batteva le temperature della già gelida Solelka quando d'estate diventava una piccola fornace. Ogni ragazzo sapeva che doveva avere nel proprio borsone tante canotte quante felpe e maglioncini, ciabattine e scarponi pesanti, un costume e l'impermeabile perché lì, gli acquazzoni improvvisi erano assicurati. Ciò che meno gli piaceva era la compagnia con cui avrebbe passato quei novanta giorni, la stessa da parecchi anni.

Hidewood (Parte 2/2) ↠ [🌈 LGBT+ STORY]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora