Capitolo 3

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4 giugno, mattina.

Il suono della sveglia è come un martello che colpisce ritmicamente il mio cranio.
La musichetta, solitamente così orecchiabile, stamattina mi sembra più insopportabile del graffiare di unghia su una lavagna.

Sussurro frasi poco carine contro il mio cellulare per diversi secondi, fino a che non decido di aprire gli occhi per spegnere quella stramaledetta sveglia.
"Cominciamo bene..."
Mi passo una mano sul viso per scacciare gli ultimi residui di sonno dal mio volto.

Non so cosa mi hanno iniettato in ospedale, ma mi sento più intontita del solito. Per non parlare dei buchi sulle mie braccia fatti per le analisi di routine, da me definite 'torture cinesi', che mi fanno ancora male.

Mi alzo in piedi e mi stiracchio molto elegantemente, sembro una papera con il mal di schiena.

Scosto le tende della finestra in mogano e, passando vicino al comodino, noto il foglio spiegazzato, o meglio la lettera da parte della presunta Morte, posato accanto alla lampada. Subito mi fa tornare in mente gli avvenimenti di ieri.
Mi osservo il polso, il tatuaggio c'è ancora, segno che non è stato tutto un brutto sogno.

Come farò a tornare al college come se nulla fosse?

Ho dormito vestita, con le scarpe ai piedi. In questo momento mi sento uno schifo, ho la gola secca, gli occhi gonfi e ogni movimento mi costa una fatica immane.

Una doccia mi farà sentire meglio.
Almeno spero.

Apro l'armadio e tiro fuori una maglia a collo alto grigia di una taglia più grande, un vestito nero dalle bretelle sottili, un paio di calze al ginocchio e delle All Star abbinate alla maglietta.

Spargo in giro per la stanza i vestiti del giorno prima mentre mi dirigo in bagno e, una volta entrata, mi butto sotto il getto della doccia senza neanche guardarmi allo specchio, meglio evitare una crisi di autocommiserazione.

L'acqua calda, con l'aiuto del mio adorato bagnoschiuma alla lavanda, scioglie i muscoli indolenziti e fa scivolare via l'odore acre dell'ospedale.

Penso ad Owen: sono contenta che abbia risolto con suo padre.
Ieri sera in macchina mi ha raccontato che Will ci ha invitati tutti e due a casa sua sabato prossimo per passare una serata insieme, non so bene cosa centri io in tutto questo, ma devo ammettere che mi ha fatto piacere essere inclusa.

Una volta terminato il mio breve momento di relax, mi avvolgo in un asciugamano e mi posiziono di fronte allo specchio per pettinarmi i capelli.

Il bagno privato della mia stanza è quasi più grande della sala da pranzo; ha le piastrelle grigio perla, il pavimento in marmo scuro, così come il lavandino, la vasca e la doccia, e un grande specchio ovale dalla cornice elaborata.

Quest'ultimo è ricoperto da una patina di vapore acqueo che rende la mia immagine indistinguibile. Afferro la spazzola e con l'altra mano lo pulisco con un piccolo asciugamano.
Ma, non appena scorgo il mio riflesso, faccio un balzo all'indietro e per poco non inciampo sulla cesta dei vestiti sporchi.

I miei capelli sono totalmente scoloriti, sembrano neve appena caduta, di quel bianco perfetto che nemmeno le nuvole possono raggiungere.

Il cuore mi batte all'impazzata: mi sto trasformando in un mostro? La pelle mi diventerà aggrinzita come una vecchia prugna? O gli occhi rossi come il sangue?

Mi avvicino ancora di più allo specchio; le mie iridi, di solito di un marrone talmente scuro da sembrare nero, ora tendono più a una sfumatura bluastra, come il cielo in piena notte.

Mi tremano le gambe, poggio una mano sul lavandino e faccio un respiro profondo per calmarmi.
Non posso crollare ora, non è da me: io non mi piego di fronte alle emozioni.

Becoming Death, non sfidare la morteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora