Capitolo 7

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4 giugno, my house.

Mi sono appena resa conto che mi si vedono le costole.

Non mi ero accorta di essere così magra: la pelle chiara ricopre ogni centimetro del mio corpo come un velo tirato sopra le ossa sporgenti e le vene bluastre ricamano un reticolo all'interno delle mie braccia.
Sollevo lo sguardo - quello sguardo che ormai ha assunto il colore della cenere - e mi concentro sul mio viso; guance scavate, zigomi alti, labbra vermiglie ed una cascata di capelli candidi sono tutte cose che non riconosco come mie.
Ho finito di essere la ragazza d'ombra, ora assomiglio più ad un angelo caduto dai regni celesti.

Ormai non vedo più la Pamdora che sono sempre stata, e non intendo solo esteriormente, mi sento diversa, come se tutto ciò che ho vissuto fino a questo momento non contasse più niente.

Mi siedo sul letto e afferro la chitarra nera poggiata contro il suo bordo.
La posiziono sulle gambe e passo le dita sulle corde premendomela ancor di più contro il petto per assaporare le vibrazioni che percorrono la cassa armonica, poi inizio a suonare qualche nota.
Il mio rimedio a tutto è la musica; a volte lei è l'unica che riesce a capirti, perché tra tutte le persone che si divertono a scrivere, comporre, suonare, almeno una ha sicuramente provato ciò che stai provando in quel preciso momento, quindi esiste sempre la canzone giusta.

All'improvviso sento qualcuno bussare - o meglio, prendere a pugni la porta di casa.
Lascio la chitarra e mi alzo di slancio per poi precipitarmi in fondo alla scale. Sono quasi preoccupata, il 'qualcuno' in questione infatti sembra voler scardinare la porta.
"Sto arrivando!" Urlo, anche se non so a chi di preciso.
Afferro la maniglia e la tiro verso di me, per poi ritrovarmi di fronte ad un Gavriel con ancora il pugno alzato per aria.

"E tu che diavolo ci fai qua?!"
Tra tutte le persone che mi aspettavo di veder bussare alla mia porta lui era in fondo alla lista.
"Owen" dice soltanto, ma nella sua voce riesco a cogliere tutto ciò che c'è dietro al quel semplice nome: preoccupazione, paura.
"Cos'è successo?" Chiedo, dimenticandomi persino dei problemi che intercorrono fra noi due.

Ma lui, senza aggiungere altro, mi afferra per il polso e mi trascina verso la sua moto parcheggiata in fondo al vialetto di casa mia.
"Ti spiegherò una volta arrivati, ora non c'è tempo"

Avrei voluto tempestarlo di domande, però alla fine decido di mettere un lucchetto alla mia bocca e aspettare il momento giusto.
Mi siedo dietro di lui sul sellino della moto e stringo le braccia intorno alla sua vita; quando sposta le braccia per afferrare il manubrio sento le sue dita sfiorarmi le braccia nude.
Non ho fatto in tempo a cambiarmi, infatti indosso ancora la 'tenuta da casa', ovvero una t-shirt nera corta, un leggings dello stesso colore e il mio adorato paio di All Star scure.

Gavriel accelera in avanti e la moto quasi si impenna, quindi sono costretta a stringermi ancora di più alla sua schiena. Lo sento ridacchiare: ovviamente l'ha fatto apposta.
Non ce la fa proprio a mantenersi serio, anche se ho il dubbio che lo faccia solo per impedirsi di crollare.

Come lo so?
Uso anche io lo stesso metodo.

Mi porta di fronte ad un edificio abbandonato.
"Vuoi uccidermi per caso?" Chiedo sarcasticamente una volta scesa dalla moto.
Gavriel mi guarda serio con i suoi occhi di ghiaccio, percorre il mio corpo dalla testa a piedi.
"Credo sia più probabile il contrario... o almeno, quando succederà, tu ci sarai"
Barcollo leggermente all'indietro, come se mi avesse colpita una folata di vento. Non riuscirò mai ad abituarmi ai suoi cambi d'umore.

Becoming Death, non sfidare la morteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora