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Caleb

Resto seduto accanto allo stipite in ferro della finestra, il leggero venticello accompagnato dalle prime luci dell'alba soffia attraverso la senga aperta ed irrompe nel piccolo e stretto corridoio raffreddando l'aria tesa.

Mi volto nuovamente, forse per la decima volta, a guardare in fondo al maledetto corridoio cercando con lo sguardo qualcuno che mi sia anche lontanamente familiare, ma non vedo nessuno. Passo, frustrato, una mano fra i capelli cercando di formulare un pensiero concreto ma non ci riesco proprio. Il mio cervello ormai ha smesso di elaborare, ho voglia di fatti, sto bramando per ottenere un minimo di soddisfazione di un piano vendicativo che so non mi porterà da nessuna parte.

Finalmente, dopo minuti che sembrano essere stati anni, udisco un pianto flebile e sommesso provenire da una saletta la cui porta si è appena spalancata. Dal suo interno, con mia non grande gioia, escono fuori un dottore ed un infermiere che stanno accompagnando la madre di Rosy spingendola sulla sedia a rotelle. La guardo da lontano trattenendo l'istinto dall'avvicinarmi per infonderle un conforto che so di non riuscire a darle, ha un'espressione indecifrabile e le lacrime che le solcano il viso scavato da delle rughe abbastanza evidenti, le occhiaie scure mi fanno capire che non ha chiuso occhio per l'intera nottata.

-Signora si calmi, per favore, faremo il possibile per adesso- sento dire dal medico che la rassicura, giusto per accontentarla essendo che so per primo della malattia al cuore di cui soffre, e mi sento uno schifo a vederla così -ora devo andare, si riguardi- dice infine aggiustando il camice bianco e lasciando Samantha nelle mani dell'infermiere con cui la vedo spesso.

L'uomo si china in ginocchio per abbracciarla, facendomi comprendere che il rapporto fra i due li lega ben più di qualcosa che ha a che fare con l'ospedale.

Ritorno a fissare il muro bianco, quando osservo delle figure irrompere all'interno del medesimo corridoio, tutti affaticati e chi ancora con una semplice tuta da casa indosso. Sono i ragazzi e le ragazze, quasi tutti presenti a giudicare dal gruppetto compatto che riempie l'intero spazio. Li guardo uno ad uno, riconoscendo Nelly che si avvicina alla madre della castana per salutarla con gli occhi lucidi.

Decido di avvicinarmi, giusto per fingere un atto di cortesia anche io vista la mia posizione tremenda in tutta questa faccenda. Guardo Torch venirmi incontro, sembra più che incazzato e non so se con me o col mondo.

-Da quanto sei qui?- mi chiede senza alcun tipo di saluto, io sospiro passando di nuovo la mano nei capelli per poi tornare a guardarlo.

-Da qualche ora, credo- rispondo vago, vedo l'orologio appeso al muro e noto siano le cinque e un quarto in punto...quindi si, da qualche ora.

Il rosso si agita nuovamente cercando con lo sguardo la stanza dove tengono rinchiusa Rosy, ne sono certo -Dove l'hanno messa?- domanda ancora, facendomi capire che è sull'orlo di una crisi isterica e decido di tirarlo verso la porta d'emergenza che porta sulle scale anticendio.

Quando siamo fuori, come se avesse atteso solo ora, scoppia in un pianto disperato sbattendo i pugni contro la parete esterna dell'enorme struttura. Io dal canto mio  lascio che si sfoghi e modo suo, guardando soltanto con quale rabbia se la prende con un muro che penso gli stia dando un gran sollievo ora come ora.

Smette dopo qualche minuto, quando la rabbia che dapprima gli ribolliva nel sangue ora sembra essergli passata per fare spazio alla tristezza. Così, si accascia sulla scalinata in ferro tenendosi la testa fra le mani e i gomiti poggiati sulle ginocchia.

-L'hai vista?- mi chiede con la voce rotta dal pianto, io deglutisco abbassando la testa.

-No- rispondo schiarendo la gola secca -sono arrivato un'ora dopo...- continuo rimanendo la frase a metà, senza specificare di aver assistito alla rianimazione che hanno dovuto fare d'urgenza perchè il corpo non reagiva quasi più.

Fake Bad Boy •Caleb Stonewall• Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora