Capitolo 9

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Andrew mi guardava attentamente, con gli occhi socchiusi e la mano chiusa attorno il mento, chiaramente pensieroso. Quell'altro essere accanto a lui, invece, il suo sguardo era quello che poteva portarmi a schiaffeggiarlo. Testimone dei miei innumerevoli incubi, le sue mani ancora le percepivo sul mio corpo. Aveva tormentato me e la mia mente senza nemmeno rendersene conto; il fatto che poco dopo fosse partito per Boston non fu abbastanza da farmi scordare tutto quello che mi aveva causato.

"Sei cambiata molto." Disse Thomas, scrutandomi con interesse. Istintivamente portai le braccia attorno i miei fianchi, quasi in senso di protezione. "Mi piacerebbe dire lo stesso di te." Sussurrai, in un filo di voce. Non riuscivo a credere al fatto che improvvisamente, quasi in un battito di ciglia, si fosse ripresentato davanti ai miei occhi. E dovevo andarmene da lì il prima possibile, altrimenti il cuore sarebbe imploso nel mio petto, o avrei rischiato un infarto.

Mi voltai verso Andrew, dovevo avere davvero un aspetto pietoso dato il suo sguardo preoccupato. "Ti aspetto di sotto." Dissi solo. Sorpassai entrambi, e quando ero ormai vicina alla porta che conduceva alle scale e gli ascensori, la voce di Thomas mi richiamò. "Non mi saluti?" Disse, in lontananza.

Mi voltai verso di lui, le unghie ormai erano diventate un tutt'uno con i palmi delle mie mani. Lo incenerii con lo sguardo, gli bastò quello per farlo ammutolire. Mi girai senza guardarmi indietro, e mi precipitai nell'ascensore. Grave errore, quello spazio era dannatamente troppo piccolo ed io già non riuscivo a respirare completamente.

Fui costretta ad appoggiarmi con una spalla alla parete metallica alla mia destra, fin quando, esattamente prima che le porte si chiudessero, sentii due forti braccia stringermi la vita. Inspirai ed espirai con calma, cercando di regolarizzare il respiro e i miei battiti, mentre il profumo di Andrew quasi mi fece venire di nuovo la nausea.

Le sue braccia mi stringevano forte, quasi come se sapesse che fossero le uniche a tenermi ancora in piedi. "Sta' calma, Cris." Sussurrò al mio orecchio. "Non è successo niente, ci sono qua io."

Una lacrima silenziosa rigò il mio viso, ma mi apprestai ad asciugarla. Mille notti insonni, mille pensieri che improvvisamente erano diventati di nuovo realtà. I suoi occhi verde scuro, la cattiveria che galleggiava in essi, e il suo sorriso spaventoso. Tutto davanti ai miei occhi in meno di due minuti.

Andrew mi voltò verso di lui, afferrandomi il viso tra le mani. Il suo sguardo era quello che avevo sempre voluto evitare, quello della compassione. Non avevo bisogno della pena di nessuno, ed era anche quello che mi aveva spinta a tenere quell'esperienza, se così poteva essere chiamata, solo per me. Quell'essere mi aveva trasformata in cenere, ed ero stata io stessa a plasmare di nuovo tutta quella polvere in un corpo funzionante. Esattamente come una fenice, ero rinata dalle mie stesse ceneri. Quegli sguardi, in quel momento, non mi servivano a nulla.

"Non guardami così." Dissi, con il fiato corto. Mi poggiai una mano sul petto e serrai gli occhi, esalando un altro gran respiro. "Non voglio la tua pena."

Andrew serrò le labbra, ma non lasciò andare il mio viso. "Fa bene ogni tanto crollare, Cris." Disse lui, estremamente vicino al mio volto. "A volte devi toccare il fondo per darti la spinta giusta e risalire. Toccare il fondo, alcune volte, va bene."

E non mi diede il tempo di ribattere, dato che mi spinse contro il suo petto e mi strinse tra le sue braccia. Forse quella era la cosa più vera che qualcuno mi avesse mai detto, l'unica che poteva leggermi dentro. Perciò mi lasciai cullare dalle sue mani che mi strinsero prepotentemente a lui dalla schiena, e il mio respiro quasi all'istante iniziò ad essere regolare. Il cuore decelerò, cullato dai nostri movimenti ondulatori e lenti. Andrew, in quel momento, fu la prima persona a parte me stessa, capace di calmare uno dei miei attacchi di panico. E nemmeno io stessa sarei riuscita a fare di meglio, dato che duravano a lungo quando ero da sola. Gli era bastato un semplice abbraccio per farmi tornare a respirare di nuovo.

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