Capitolo 12

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C'è una ragazza sopra una panchina, siede da sola e guarda il vuoto, anche oggi non è andata a scuola.
Si sente sola, ascolta la musica, la musica ascolta lei, quando il resto del mondo la ignora. Non si consola ed ogni volta dopo pranzo lega i suoi capelli, si infila uno spazzolino in gola.
Ma così no, non funziona, più va avanti e più peggiora, inginocchiata davanti al cesso, lei non si emoziona.
- Mostro, solamente unico.
Le giornate passavano lentamente.
Il mio cuore era offuscato da nubi e i miei battiti erano lupi ululanti in una valle di ombre. Sopravvivevo, non vivevo, perché vivere è ridere, amare, essere amati, gioire, emozionarsi. Io no, ero come un malato in coma, andavo avanti come se le giornate passassero attraverso il mio corpo come spettri. Non so dire precisamente se quella malinconia fosse nauseante o confortevole, se la solitudine potesse aiutarmi o uccidermi, se allontanarmi dagli altri mi avesse fatto male o bene, se la vita che stavo vivendo fosse davvero quella che desideravo o se ogni mio singolo respiro venisse emanato inconsapevolmente, mentre i secondi del mio orologio segnavano un momento sempre più vicino alla mia morte. E se fossi già morta? Voglio dire, ormai non provavo più nulla di bello, cosa potrebbe esserci di peggio? Forse, non provare nemmeno qualcosa di "brutto". Quello è il baratro più mortale. Passavo le giornate chiusa in camera, a leggere post su Tumblr e ad ascoltare la musica di chi mi parlava senza conoscermi.
"Celeste, a tavola!"
La voce di mia madre mi tuonò nell'orecchio.
Ah, si. Ecco cosa c'era di peggio: fingere che l'odore fastidioso del cibo fosse gradevole e mangiare con finto appetito per non dare spiegazioni ai tuoi, che potrebbero porti determinate domande. Vai a spiegare i sogni ai genitori. Cose del tipo "ho deciso di perdere 15 chili per sfilare e sentirmi qualcuno, avverare il mio sogno".
- Buoni i pomodori, buono il panino. Oh, anche l'hamburger.
Mia madre mi guardò insospettita.
- Che ti prende? Non hai mai fatto tanti complimenti, né mangiato così tanto. Eppure, nonostante tutto, ti vedo più magra.
Feci finta di scoppiare a ridere e risposi:
-Ahahah, mangio tanto ultimamente, é vero, ma mi mantengo magra perché mi muovo molto e faccio ginnastica al parco con le mie amiche. Inoltre, non ho mica il metabolismo di una quasi cinquantenne.
Mia madre annuì, fingendosi offesa. E io, finito il mio pasto, corsi di fretta in bagno. Osservai per bene il fondo del water, poi pensai al fatto che il mio muso era a pochi centimetri dal pozzetto d'acqua dove ognuno faceva i propri bisogni e mi venne una forte nausea. Così, presi lo spazzolino, lo infilai in fondo alla gola e vomitai.
Questa storia fu lieve soltanto per i successivi 15 giorni. Sembrava che il mio corpo non avesse preso così male il cambiamento. Mai sottovalutare la biologia, però.
Una mattina mi pesai.
Dovevo perdere ancora altri otto chili per essere accettata dalla Cold Ice. Così, dopo aver fatto colazione, vomitai tutto e andai a scuola. Per strada, camminando, mi sentivo mancare, come se sotto i miei piedi ci fosse il vuoto. Come un impiccato sospeso a mezz'aria. Arrivai a scuola dopo tanti sforzi.
-Signorina Celeste, venga interrogata di geografia - esclamò la prof di geografia, mentre combattevo per non chiudere le palpebre pesanti.
Iniziai a ripetere la lezione, poi la mia mancanza di energie mi fece perdere il senno.
-Prof, le galassie sono colorate, ci sono gli unicorni, gli alieni....salga su.
E, intanto, mi girava forte la testa, mentre le mie allucinazioni mi facevano vedere gli unicorni innanzi a me, così belli, colorati, con una criniera ben pettinata e lucida. Sentivo forti risate in sottofondo. Quei quattro figli di puttana incolti dei miei compagni. Ridono di te, per non piangere per loro. Ad un tratto svenni.
Mi risvegliai in infermeria, con Ariana accanto.
- Celeste! Si può sapere che cavolo stai combinando! Lo sapevo, accidenti, lo sapevo che lo avresti fatto!
- Calmati, mi sono appena svegliata. Fatto che?- le risposi.
-È chiaro che non stai mangiando. Oggi vado dal direttore e gli racconto che i tuoi non sanno nulla, così ti annulla il contratto. Sei una stupida, prendi tutto sul serio! Vuoi abbracciare la morte! Sei un'incosciente!
Piano piano mi alzai e, per la rabbia, spinsi la mia amica, lasciandola cadere sulla sedia che era dietro di lei. Avevo le lacrime agli occhi e sentivo una forte pressione crescere dentro di me. Mi tremavano le mani e le gambe. Avevo la sensazione di vivere una brutta metamorfosi, come se mi stessi trasformando in un mostro tremendo, pronto a spaccare ogni cosa.
-Oddio, sei un mostro. Vai via, Celeste. Non ti riconosco più, la moda e il successo ti hanno dato al cervello! Come hai osato spingermi? Guardati! Guardati allo specchio! Non sei Celeste, sei l'impersonificazione di Satana! Se potessi, forse, mi ammazzeresti.
E così dicendo, andò via.
Ma cosa stavo facendo? Dopo tanti anni stavo per costruire qualcosa di nuovo e, proprio come il vento forte fa con i castelli di sabbia, ho buttato di nuovo tutto giù. Presi a pugni il mio riflesso, fino a spaccare lo specchio. Le nocche cominciarono a sanguinare. Avevo sangue e pezzi di vetro un po' ovunque. Il più grosso, però, era nel cuore. E da quello non potevo guarire. Ci sono ferite che non cuci mai, che sembrano risanarsi, ma possono aprirsi da un momento all'altro e trascinarti nella foresta nera. Con una mano stavo costruendo un castello di paglia e con l'altro lo stavo bruciando.

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