Capitolo 30

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Mi stropicciai gli occhi e mi guardai attorno: l'orologio della stazione segnava le otto del mattino. Accanto a me c'era un barbone con capelli e barba ricci e castano chiaro. Lui mi guardò, incerto se parlare o meno.

–Signorina...mi sono permesso di coprirla. L'ho trovata qui stanotte mentre tremava e urlava nel sonno.

Mi misi seduta, confusa.

-Grazie mille. E' stato gentilissimo a coprirmi. Cosa urlavo nel sonno?

-Diceva a un certo Alex di non partire e a un...Louisienne, credo, di non lasciarla sola.

-Etienne?

-Si, lui. Ho deciso di aiutarla perché una volta lei ha aiutato me, signorina. Mi ha lasciato trenta dollari e io non l'ho mai dimenticato. Non ho potuto fare a meno di notare i suoi polsi sanguinanti, così glieli ho disinfettati con acqua e sale e fasciati con delle bende. Le porto sempre con me. A qualche viagliacco piace farmi guai mentre dormo. Lei era così stanca che dormiva come un ghiro. Mi dica, come mai tutte queste ferite? L'hanno picchiata? – esitai un attimo, poi risposi. –No no, ho incontrato un gatto cattivo, stanotte. Comunque, per favore, mi dia del tu, ho solo sedici anni –.

Lui annuì, eppure dal suo volto capii che non ero riuscita a convincerlo. Era un uomo gentile e distinto. Mi domandai come mai facesse il barbone e lui sembrò leggermi il pensiero, infatti cominciò subito a raccontarmi alcuni particolari della sua vita. Mi disse che era un professore di pianoforte e di musica a scuola, aveva una moglie e due figli, ma da quando, per colpa di un incidente, aveva perso la mano sinistra, non lavorava più e moglie e figli lo avevano abbandonato. L'assicurazione non gli aveva pagato nemmeno un dollaro. E lui, piano piano, si era vista pignorata la macchina, poi la casa e si era ridotto così. Viveva per strada e, se qualcuno era così gentile da dargli qualche soldo, lui poteva comprare qualcosa da mettere sotto i denti. Ascoltai la sua storia con grande interesse, vergognandomi di tutte le volte che mi ero lamentata di ciò che avevo. Ad un tratto, vidi passare Claudius e, quindici minuti dopo, arrivò Justin. Avrei scommesso anche un occhio sul fatto che, di sicuro, Claudius lo aveva avvisato dicendogli che ero alla stazione. Non appena lo vidi, cominciarono a tremarmi le gambe per la paura e per il nervosismo. Lo vidi avvicinarsi sempre di più e poi, all'improvviso, chinarsi davanti a me con un'espressione preoccupata dipinta sul volto. Mi prese per i gomiti: - Celeste, che diamine ci fai qui? Sta diluviando! Vuoi forse prenderti un malanno? – restai incredula nel sentire quelle parole.

–Ti sei forse drogato, Justin? Da quando ti preoccupi per me? Ieri mi hai lasciata a terra distrutta e adesso ti preoccupi? Che problemi hai? – lui non si curò delle mie parole. Mi prese i polsi e li fissò.

–Posso solo immaginare cosa nascondono davvero queste fasciature. Adesso alzati. Ti porto a casa.

Lo fissai spaventata.

–Ma che sostanze stupefacenti usi? Pensi che io venga con te dopo il casino che hai combinato ieri?

-Chi è lui?- chiese il gentiluomo accanto a me.

Senza darmi il tempo di replicare, Justin rispose fulmineo che ero la sua ragazza.

Ignorando le mie parole, mi prese in braccio e mi portò in macchina. Il barbone mi sorrise e mi salutò con la mano. Ricambiai. Sdraiata sul sedile posteriore della macchina, mi addormentai di nuovo, involontariamente. Accostando davanti casa mia, mi riprese in braccio, aprì la porta e mi distese sul divano accarezzandomi una guancia.

–Perché eri là, Celeste?

Tremavo. Cosa voleva stavolta? Perché faceva finta di interessarsi?

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