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[SOUNDTTRACK: Slowdive - Sugar for the Pill (Official Video)-1 -
Grimes – Vanessa]



Non era bella ma neanche brutta. Un viso buffo, da folletto, che aveva imparato a valorizzare con un look insolito. Una frangetta troppo corta le incorniciava il viso sino alle tempie, dove a rasature sparse, si alternavano treccine o semplici codini. Il tutto reso vivace dagli infiniti colori che usava per dare nuova espressione a quello che era il suo maggior campo espressivo: i capelli.
A completare il tutto un look disordinato ma non trasandato. A modo suo studiato e di certo, molto, molto colorato. Ampio e attillato convivevano pacificamente tra loro mentre accostamenti arditi distruggevano qualsiasi teoria cromatica.
Si faceva chiamare Momo (Pesca in giapponese, un frutto che le piaceva. Ma non solo per gusto e forma: lo trovava vivace e al contempo indolente, un po' come lei).
Momo era simile a tante altre ragazze pseudo-alternative, con i vari eccessi estetici e caratteriali.
Ma simile non vuol dire uguale e in lei vi era qualcosa di diverso... non da tutti ma da molti.
Aveva, però, una caratteristica che la liberava da ogni rischio di apatia, tipica di questa generazione costantemente preda della noia. Momo aveva un'arma che le rendeva la vita di certo più avvincente di quella di molti suoi coetanei: la curiosità.
Ora però dovremmo dedicare qualche parola a cosa si intenda per curiosità. In verità il termine potrebbe risultare sin troppo banale se non fosse che la curiosità è prima di tutto uno stimolo, un carburante. È uno sguardo diverso, un approccio differente, uno slancio maggiore. La curiosità è ciò che infonde luce in uno sguardo e attiva i neuroni che altrimenti si sopiscono e ciao!
Detto questo torniamo a Momo che nella vita faceva le cose che, mediamente, fanno tutti quelli della sua età: studiare, divertirsi, cazzeggiare... ogni tanto si ricordava anche di mangiare (preferibilmente porcherie) e altre di dormire.
Momo aveva un sacco di conoscenti ma veri amici... se glielo aveste chiesto avrebbe alzato il naso al cielo socchiudendo gli occhi per poi tirare su come se avesse il raffreddore e fare spallucce.
Forse un'amica l'aveva ma poi si era trasferita e ora la sentiva solo via web. Be' meglio di niente!
Comunque a differenza di molti, le sue giornate le trascorreva spesso in giro. Aveva i suoi posti preferiti e quelli abituali. Quando li nominava usava un qualcosa che li caratterizzava: alla ringhiera, al muro basso, al prato, ai tavolini (e qui si può intuire che fosse un locale tipo bar). Inoltre passeggiava molto, a zonzo, senza una meta, lasciava che la città le scorresse lentamente di lato mentre lei era immersa in pensieri vari e variegati. Poi, qualcosa, per magia catturava la sua attenzione e si soffermava a osservare sino a che non scompariva alla vista. Ma se il fulcro della sua attenzione non era in movimento, se ne stava qualche minuto immobile a guardarla come se custodisse un qualche segreto che lei doveva carpire.
Comunque, Momo era spesso sovrappensiero. Anche quando sembrava attenta e vigile, con lo sguardo acuto di chi, nonostante tutto, ha sale in zucca, era persa o si perdeva, in pensieri tutti suoi.
Come quel giorno che passeggiava con la tipa che aveva soprannominato Lisca.
Si chiamava Lisa o Liza ed era secca secca e sempre vestita di un bianco ottico in contrasto a un trucco molto dark, così aveva considerato che Lisca fosse perfetto. E la tipa, nonostante l'esitazione iniziale, aveva trovato quel nomignolo abbastanza cool da tenerselo senza fare troppe storie.
Dicevamo, era a passeggiare con Lisca quando qualcosa la teletrasportò altrove, lontano dai soliti discorsi pallosi e dalle solite considerazioni sul tale o la tale che conoscevano.
Ad avere quel potere fu una sola, semplice, parola. Dipinta con la bomboletta spray su un muro grigio topo, così noioso e triste da cambiare l'umore a fissarlo troppo. Invece, mentre scorreva nel suo grigiume, come un'immagine troppo veloce per essere colta, ecco comparire, blu cobalto e giallo sole una parola, caratteri da grapher, grandi e arzigogolati: "OLTRE". Le cose che differenziavano quell'opera da tutte le altre, simili, erano due: la scritta era molto chiara e leggibile, in maiuscolo, e aveva uno stile molto particolare e riconoscibile.
Un ragazzo poco più grande di lei, le sbatté contro scusandosi frettolosamente con la mano prima di proseguire. Constatò che fosse vestito in modo pallosissimo, neanche lavorasse in banca. Concluse, che fosse uno di quei fighettini che si fanno vestire ancora dalla madre che li vuole belli come il Piccolo Lord. Momo si grattò la testa, che in quei giorni era di un color rosa intenso con le punte che viravano al magenta, e tornò alla scritta mentre l'amica sbuffava nell'attesa di... non capiva cosa.
«Che ti prende? È solo uno dei tanti graffiti della città. Andiamo che mi sto rompendo e voglio farmi una birra...». Momo la ignorò. Si avvicinò sino a toccare la vernice ormai secca. Infine, gli scattò una foto col cellulare e, solo dopo aver deciso che poteva bastare e che avrebbe riflettuto in separata sede sul senso di creare un graffito di una sola, unica, parola, si voltò e riprese a camminare. Lisca sembrò riacquistare un minimo di buonumore.

STORIA DI MOMOWhere stories live. Discover now