Il giorno prestabilito Momo schizzo fuori casa con Pist che l'aspettava sul suo motorino.
Lo salutò con la mano per poi infilarsi il casco e salire in sella.
Si erano detti tutto via telefono: Pist avrebbe aspettato fuori dal fabbricato e solo in caso di casini sarebbe entrato. I casini prevedevano due condizioni: se Momo gettava un urlo e se, dopo mezz'ora non si fosse vista uscire.
Precauzioni lecite. Pist non si era voluto imporre più di tanto comprendendo che fosse qualcosa che, prima di tutti, riguardasse Momo. Certo, lui le aveva dato una mano, unendosi "alla causa" ma era stato per fare qualcosa. Quindi era convinto a tirarsene fuori per lasciare alla sua amica lo spazio di viversi il "finale della storia". Ovviamente gli avrebbe dovuto raccontare tutto! Almeno quello glielo doveva.
Quando giunsero alla fabbrica dismessa, Momo sembrava aver perso tutto lo slancio. Era incerta e titubante mentre osservava l'ampio ingresso, ormai privo di porte.
«Allora come deciso... mi raccomando, non fare cazzate!» la intimò Pist.
Momo si limitò ad annuire, lo sguardo sempre fisso verso l'interno dell'ex fabbrica.
Mille domande e timori si stavano affastellando nella sua mente. Ma quello che più di tutti la faceva desistere ad entrare era la possibilità di essere delusa. O peggio, di essere stata presa in giro.
Forse lì dentro non avrebbe trovato nessun graffito e tanto meno il "Fantasma delle enigma-parole", anzi, "frasi".
Pist la osservava senza proferire parola. Infine lei prese un profondo respiro, compiendo il primo passo, seguito da un secondo... un terzo... sino a entrare nel fabbricato.
La struttura era composta da due parti. La prima, che ridava sull'ingresso, era un ampio corridoio che finiva con due gabbiotti; dovevano essere stati degli uffici. A sinistra si apriva un'apertura, forse un tempo chiusa da grandi porte metalliche, che ridava su un androne di pianta rettangolare che si sviluppava sui due lati rispetto all'entrata. Sia a destra che a sinistra vi erano due finestroni. Il soffitto in quella zona era curvo e questo faceva sì, che sopra le finestre, vi fossero delle ampie lunette, quella a destra era raggiungibile salendo su un'impalcatura di tubi e assi di legno, lasciata lì dopo una tentata ristrutturazione, non andata mai in porto. Della fabbrica che era stata un tempo rimasto ben poco.
Quando raggiunse l'ingresso della seconda ala, si sentì salutare. La voce era ovattata dalla mascherina di protezione.
Momo si pietrificò, rigida come una statua di gesso, riuscì a voltare solo lo sguardo e di pochissimo la testa, quel tanto da poter scorgere da dove provenisse il saluto.
Il "Fantasma" che a questo punto fantasma non era, se ne stava seduto sull'impalcatura, con le gambe penzoloni. Indossava una tuta da lavoro bianca, con tanto di cappuccio, da cui spuntava la visiera di un cappellino a celargli gli occhi. Il resto del viso era nascosto dalla mascherina che usava per non inalare la vernice spray. In mano aveva una bomboletta con cui giocherellava.
«Allora, che te ne pare? Ti piace?»
Momo neanche lo vide il graffito, ma comunque annuì.
«Non so cosa tu riesca a vedere da lì ma ti consiglio di metterti al centro».
Momo ubbidì come un bravo soldatino. Anche l'andatura aveva qualcosa di "marziale", forse per via della rigidità con cui compiva i passi.
Doveva dire qualcosa, stava facendo la figura della fessa e ne era consapevole.
«È...» ingoiò a vuoto cercando di trovare un tono di voce decente rispetto a quel sussurro che le era appena uscito. «È bello! Grazie... per avermelo dedicato». Dire quelle poche parole era stata un'impresa.
Finalmente si decise a osservare realmente l'ennesima, ultima, "Enigma-parola" che andava a chiudere "l'Enigma-frase". Momo si era già fatta una mezza idea su quale potesse essere, quando aveva svelato il senso dei graffiti.
"TROVA".
E lei non solo aveva trovato la risposta ma anche il writer misterioso che quei graffiti li realizzava.
Questo pensiero le infuse un po' di coraggio. Era stata brava e si era meritata la dedica.
Avanzò lungo l'androne, avvicinandosi all'impalcatura. I capelli rosa pastello, legati in due trecce, gli rimbalzavano sulle spalle.
Quando lui si alzò deciso a scendere, si bloccò nuovamente. Finalmente avrebbe visto il suo viso!
Il timore lasciò il posto al naturale entusiasmo di Momo.
Lui si muoveva sull'impalcatura, agile come chi fa parkour. Con un piccolo salto raggiunse terra, avanzando verso Momo.
Mentre si avvicinava si sbottonò la tuta da lavoro che lo faceva sembrare qualcosa a metà tra un astronauta e uno della scientifica. Si levò il cappuccio svelando delle ciocche chiare. Tolse anche il cappellino che rigirò al contrario, prima di infilarselo di nuovo e infine, con un gesto rapido, si liberò della mascherina, mostrando finalmente il viso.
«Supernerd?!» Momo si portò di scatto la mano alla bocca. Le era uscito di getto, incapace, per via della sorpresa, di filtrare il pensiero, dandogli voce.
Era imbarazzatissima: lo aveva chiamato col soprannome che gli aveva dato Pist, e non era proprio un complimento.
Di rimando lui rise. Quando la raggiunse annuì.
«Esatto, sono io!»
Momo era diventata color lampone e non riusciva più a dire nulla.
Lui sembrò comprendere l'imbarazzo e continuò.
«Ora avrai ancora più chiaro il senso di quanto ho scritto».
Momo annuì. Che stupida che era stata. Si era lasciata influenzare dai discorsi degli amici che miravano solo a metterla in imbarazzo.
Alla fine non aveva mai avuto interesse a conoscere quel ragazzo. Se solo avesse fatto qualche passo verso di lui magari le avrebbe raccontato della sua passione per i graffiti. E invece, dopo averlo difeso da Rosco, lo aveva tenuto sempre a distanza. Intimorita dall'idea di passare per una che si fila i nerd... si sentiva uno schifo. Fece una smorfia che dimostrava tutta la sua autocritica.
Lui si sfilò la parte superiore della tuta, annodandosi le maniche in vita, restando con una canotta stile basket.
Momo, per quanto mortificata dalla sua condotta non poté fare a meno di constare che nerd o meno, avesse anche un bel fisico. Non lo aveva mai notato, coperto da giacche e camicie troppo "precisicchie".
«Da... da quando hai questa passione?» riuscì, infine a chiedere.
«Da qualche anno ma solo da poco lo faccio in giro per la città.»
«Senti... per quel soprannome... io, volevo dire che, ecco... mi spiac...»
«Perché? Mi si addice!» la interruppe lui mettendole una mano sulla spalla.
Momo alzò lo sguardo, stupita.
«Ma come? Tu... tu sei... voglio dire, quello che fai è fighissimo!» lui rise, scuotendo la testa.
«Ma io sono anche quello che vedi quando siamo a scuola! E poi mi piacciono i libri, i fumetti, le serie tv, le saghe cinematografiche, la musica strana e... i giochi di ruolo, insomma tutte cose da nerd!»
Momo non era certa che stesse parlando seriamente.
«Vuoi dire che quella non è una "copertura"?»
Lui scosse la testa.
«Sono quello e sono anche questo» allargò le braccia facendo un passo indietro, come a mostrarsi.
Momo si sentiva un'idiota. Aveva compreso e si stava considerando fessa come pochi. A lui non fregava niente del parere altrui, era ciò che voleva essere a prescindere dall'essere considerato uno sfigato o uno "cool". Era semplicemente se stesso, in tutti i suoi aspetti.
Si soffermò sul suo sguardo che trovò diverso dal solito. No, non era il suo sguardo ma gli occhi con cui ora lei lo vedeva. Non era più il tipo che avrebbe potuto metterla in imbarazzo, attirandosi le prese in giro. Ma uno con le palle! Quelle che erano mancata a lei.
«Perché mi hai voluto dedicare quel graffito?» chiese indicandolo con un cenno del capo. «Io non sono stata diversa dagli altri. Non sono stata in grado di andare oltre le apparenze...» era sinceramente mortificata.
«È vero, non lo hai fatto, ma nonostante tutto mi hai salvato il culo da quello, senza chiederti chi stessi difendendo. E anche se sapevo che ti prendevano in giro per ciò che avevi fatto per me, non sei mai stata sprezzante. Certo, temevi i giudizi ironici dei tuoi amici ma sei stata sempre corretta».
In effetti... quelle parole le risollevarono di un po' l'autostima che era precipitata pericolosamente.
Lui le si avvicinò maggiormente, cosa che fece irrigidire di nuovo Momo. Si piegò sino a raggiungere il suo orecchi e Momo perse un battito.
«Promettimi solo che resterà un nostro segreto.»
Momo annuì con decisione.
Lui proseguì.
«So che ti ha accompagnato Pist, e ha fatto bene... non si sa con chi avresti potuto avere a che fare! È un buon amico. Ma non dire neanche a lui chi sono. Va bene? Lo farai per me, Momo?»
"Eccerto" che lo avrebbe fatto! Era il minimo!
«Stai tranquillo, mi inventerò una mezza verità!»
«Bene!»
In quell'istante Momo considerò la sua disavventura. Lui le aveva riportato lo zaino. Doveva sapere!
«Pist diceva che mi seguivi e io volevo capire se fosse vero... ma ho finito per fare una cazzata. Tu... non so se effettivamente mi seguissi o sia stata una coincidenza... comunque volevo dirti grazie.»
Lui alzò la mano come a dire che non era stato niente di che. Ma Momo restò a fissarlo e comprese che, forse, doveva spendere qualche parola a riguardo.
«Non ti stavo seguendo. Ero alla ricerca di un posto da usare per un mio nuovo graffito. Stavo tornando a casa quando ti ho vista lungo la strada. Ero, più avanti, nella zona sterrata quindi, fuori dalla tua visuale. Ho adocchiato quei tizi, agendo di istinto. Devo ammettere di avere avuto anche abbastanza culo perché l'idea per fermali era abbastanza "estrema": ho lanciato sulla strada la bomboletta che aveva in mano e poi un'altra e loro per schivarne una, hanno preso in pieno l'altra che gli ha fatti sbandare e cadere a terra. Con una terza bomboletta sono arrivato sino a loro e... beh, gli ho fatto mangiare un po' di vernice» rise e Momo sentì come un brivido.
Non si poteva dire che "Supernerd" fosse bello, di certo non nel senso più comune del termine, ma aveva un viso interessante, i lineamenti taglienti, gli occhi castani, luminosi ed espressivi e un sorriso che solo ora notava essere piuttosto affilato.
«Così ho recuperato lo zaino e te l'ho riportato ma tu eri svenuta e ho pensato di chiamare un'ambulanza ma vedevo che non avevi ferite, così ti ho tenuta d'occhio con l'idea di farlo se non ti fossi ripresa nel giro di pochi minuti, dimostrando di stare bene.
Quando ho constatato che fosse così mi sono dileguato.»
«È stata in quell'occasione che ho pensato che tu potessi essere un fantasma!»
Lui rise e Momo lo seguì, ridendo a sua volta.
«Come sapevi che avevo capito?» chiese improvvisamente Momo.
Lui sembrò rifletterci su o forse stava solo cercando le parole giuste.
«Ti dico quello che penso. Penso che non contava se tu l'avessi risolta o meno. Ti sei interessata ai miei lavori perché ti hanno incuriosita e io penso che le persone curiose abbiano una marcia in più per andare oltre la superficie. E so che tu lo sei tanto, Momo.»
Un nuovo sorriso di lui e un nuovo battito perso di lei.
«Ora devo andare, ci si vede a scuola!» le si avvicinò, chinandosi sino a raggiungere il suo viso e Momo, questa volta, sentì il cuore fermarsi totalmente, mentre una scossa le partiva dalla nuca, scendendo lungo la schiena.
Le stampò un bacio sulla fronte e avrebbe vacillato se non avesse sentito Pist chiamarla dall'ingresso.
Lanciò uno sguardo impanicato a "Supernerd" che la incoraggiò ad andare da lui, facendole l'occhiolino.
Doveva preservare il "loro segreto".
Momo annuì, voltandosi per raggiungere l'amico.
«Eccomi, arrivo!»
«Tutto bene?» chiese Pist con un po' di apprensione.
«Tutto bene!» gridò lei da dove si trovava. Era passata mezz'ora e non se ne era minimamente accorta? O a Pist era presa l'ansia?
Quando si girò per dare un ultimo saluto al "Fantasma delle enigma-parole" lui, da buon "fantasma" era evaporato. Solo il graffito color fragola, giallo, arancio, rosa e azzurro... i colori di Momo, testimoniava che lui era stato lì.
«Andiamo!» disse una volta raggiunto Pist.
Lui la seguì fuori, sino al motorino.
«Allora, com'è andata?»
«Bene!»
«Lo hai visto, che tipo è?»
«Sì, finalmente ho visto che aspetto ha il "Fantasma delle enigma-parole!»
«E...?»
«Ed è un tipo insospettabile... mai fidarsi delle apparenze, si rischia di perdersi il meglio!»
Ovviamente Pist non comprese a cosa si riferisse Momo ma prese per buona la risposta, dandogli un suo senso.
«Devi raccontarmi!» incalzò lui
Momo sorrise, un sorriso furbo.Il giorno prestabilito Momo schizzo fuori casa con Pist che l'aspettava sul suo motorino.
Lo salutò con la mano per poi infilarsi il casco e salire in sella.
Si erano detti tutto via telefono: Pist avrebbe aspettato fuori dal fabbricato e solo in caso di casini sarebbe entrato. I casini prevedevano due condizioni: se Momo gettava un urlo e se, dopo mezz'ora non si fosse vista uscire.
Precauzioni lecite. Pist non si era voluto imporre più di tanto comprendendo che fosse qualcosa che, prima di tutti, riguardasse Momo. Certo, lui le aveva dato una mano, unendosi "alla causa" ma era stato per fare qualcosa. Quindi era convinto a tirarsene fuori per lasciare alla sua amica lo spazio di viversi il "finale della storia". Ovviamente gli avrebbe dovuto raccontare tutto! Almeno quello glielo doveva.
Quando giunsero alla fabbrica dismessa, Momo sembrava aver perso tutto lo slancio. Era incerta e titubante mentre osservava l'ampio ingresso, ormai privo di porte.
«Allora come deciso... mi raccomando, non fare cazzate!» la intimò Pist.
Momo si limitò ad annuire, lo sguardo sempre fisso verso l'interno dell'ex fabbrica.
Mille domande e timori si stavano affastellando nella sua mente. Ma quello che più di tutti la faceva desistere ad entrare era la possibilità di essere delusa. O peggio, di essere stata presa in giro.
Forse lì dentro non avrebbe trovato nessun graffito e tanto meno il "Fantasma delle enigma-parole", anzi, "frasi".
Pist la osservava senza proferire parola. Infine lei prese un profondo respiro, compiendo il primo passo, seguito da un secondo... un terzo... sino a entrare nel fabbricato.
La struttura era composta da due parti. La prima, che ridava sull'ingresso, era un ampio corridoio che finiva con due gabbiotti; dovevano essere stati degli uffici. A sinistra si apriva un'apertura, forse un tempo chiusa da grandi porte metalliche, che ridava su un androne di pianta rettangolare che si sviluppava sui due lati rispetto all'entrata. Sia a destra che a sinistra vi erano due finestroni. Il soffitto in quella zona era curvo e questo faceva sì, che sopra le finestre, vi fossero delle ampie lunette, quella a destra era raggiungibile salendo su un'impalcatura di tubi e assi di legno, lasciata lì dopo una tentata ristrutturazione, non andata mai in porto. Della fabbrica che era stata un tempo rimasto ben poco.
Quando raggiunse l'ingresso della seconda ala, si sentì salutare. La voce era ovattata dalla mascherina di protezione.
Momo si pietrificò, rigida come una statua di gesso, riuscì a voltare solo lo sguardo e di pochissimo la testa, quel tanto da poter scorgere da dove provenisse il saluto.
Il "Fantasma" che a questo punto fantasma non era, se ne stava seduto sull'impalcatura, con le gambe penzoloni. Indossava una tuta da lavoro bianca, con tanto di cappuccio, da cui spuntava la visiera di un cappellino a celargli gli occhi. Il resto del viso era nascosto dalla mascherina che usava per non inalare la vernice spray. In mano aveva una bomboletta con cui giocherellava.
«Allora, che te ne pare? Ti piace?»
Momo neanche lo vide il graffito, ma comunque annuì.
«Non so cosa tu riesca a vedere da lì ma ti consiglio di metterti al centro».
Momo ubbidì come un bravo soldatino. Anche l'andatura aveva qualcosa di "marziale", forse per via della rigidità con cui compiva i passi.
Doveva dire qualcosa, stava facendo la figura della fessa e ne era consapevole.
«È...» ingoiò a vuoto cercando di trovare un tono di voce decente rispetto a quel sussurro che le era appena uscito. «È bello! Grazie... per avermelo dedicato». Dire quelle poche parole era stata un'impresa.
Finalmente si decise a osservare realmente l'ennesima, ultima, "Enigma-parola" che andava a chiudere "l'Enigma-frase". Momo si era già fatta una mezza idea su quale potesse essere, quando aveva svelato il senso dei graffiti.
"TROVA".
E lei non solo aveva trovato la risposta ma anche il writer misterioso che quei graffiti li realizzava.
Questo pensiero le infuse un po' di coraggio. Era stata brava e si era meritata la dedica.
Avanzò lungo l'androne, avvicinandosi all'impalcatura. I capelli rosa pastello, legati in due trecce, gli rimbalzavano sulle spalle.
Quando lui si alzò deciso a scendere, si bloccò nuovamente. Finalmente avrebbe visto il suo viso!
Il timore lasciò il posto al naturale entusiasmo di Momo.
Lui si muoveva sull'impalcatura, agile come chi fa parkour. Con un piccolo salto raggiunse terra, avanzando verso Momo.
Mentre si avvicinava si sbottonò la tuta da lavoro che lo faceva sembrare qualcosa a metà tra un astronauta e uno della scientifica. Si levò il cappuccio svelando delle ciocche chiare. Tolse anche il cappellino che rigirò al contrario, prima di infilarselo di nuovo e infine, con un gesto rapido, si liberò della mascherina, mostrando finalmente il viso.
«Supernerd?!» Momo si portò di scatto la mano alla bocca. Le era uscito di getto, incapace, per via della sorpresa, di filtrare il pensiero, dandogli voce.
Era imbarazzatissima: lo aveva chiamato col soprannome che gli aveva dato Pist, e non era proprio un complimento.
Di rimando lui rise. Quando la raggiunse annuì.
«Esatto, sono io!»
Momo era diventata color lampone e non riusciva più a dire nulla.
Lui sembrò comprendere l'imbarazzo e continuò.
«Ora avrai ancora più chiaro il senso di quanto ho scritto».
Momo annuì. Che stupida che era stata. Si era lasciata influenzare dai discorsi degli amici che miravano solo a metterla in imbarazzo.
Alla fine non aveva mai avuto interesse a conoscere quel ragazzo. Se solo avesse fatto qualche passo verso di lui magari le avrebbe raccontato della sua passione per i graffiti. E invece, dopo averlo difeso da Rosco, lo aveva tenuto sempre a distanza. Intimorita dall'idea di passare per una che si fila i nerd... si sentiva uno schifo. Fece una smorfia che dimostrava tutta la sua autocritica.
Lui si sfilò la parte superiore della tuta, annodandosi le maniche in vita, restando con una canotta stile basket.
Momo, per quanto mortificata dalla sua condotta non poté fare a meno di constare che nerd o meno, avesse anche un bel fisico. Non lo aveva mai notato, coperto da giacche e camicie troppo "precisicchie".
«Da... da quando hai questa passione?» riuscì, infine a chiedere.
«Da qualche anno ma solo da poco lo faccio in giro per la città.»
«Senti... per quel soprannome... io, volevo dire che, ecco... mi spiac...»
«Perché? Mi si addice!» la interruppe lui mettendole una mano sulla spalla.
Momo alzò lo sguardo, stupita.
«Ma come? Tu... tu sei... voglio dire, quello che fai è fighissimo!» lui rise, scuotendo la testa.
«Ma io sono anche quello che vedi quando siamo a scuola! E poi mi piacciono i libri, i fumetti, le serie tv, le saghe cinematografiche, la musica strana e... i giochi di ruolo, insomma tutte cose da nerd!»
Momo non era certa che stesse parlando seriamente.
«Vuoi dire che quella non è una "copertura"?»
Lui scosse la testa.
«Sono quello e sono anche questo» allargò le braccia facendo un passo indietro, come a mostrarsi.
Momo si sentiva un'idiota. Aveva compreso e si stava considerando fessa come pochi. A lui non fregava niente del parere altrui, era ciò che voleva essere a prescindere dall'essere considerato uno sfigato o uno "cool". Era semplicemente se stesso, in tutti i suoi aspetti.
Si soffermò sul suo sguardo che trovò diverso dal solito. No, non era il suo sguardo ma gli occhi con cui ora lei lo vedeva. Non era più il tipo che avrebbe potuto metterla in imbarazzo, attirandosi le prese in giro. Ma uno con le palle! Quelle che erano mancata a lei.
«Perché mi hai voluto dedicare quel graffito?» chiese indicandolo con un cenno del capo. «Io non sono stata diversa dagli altri. Non sono stata in grado di andare oltre le apparenze...» era sinceramente mortificata.
«È vero, non lo hai fatto, ma nonostante tutto mi hai salvato il culo da quello, senza chiederti chi stessi difendendo. E anche se sapevo che ti prendevano in giro per ciò che avevi fatto per me, non sei mai stata sprezzante. Certo, temevi i giudizi ironici dei tuoi amici ma sei stata sempre corretta».
In effetti... quelle parole le risollevarono di un po' l'autostima che era precipitata pericolosamente.
Lui le si avvicinò maggiormente, cosa che fece irrigidire di nuovo Momo. Si piegò sino a raggiungere il suo orecchi e Momo perse un battito.
«Promettimi solo che resterà un nostro segreto.»
Momo annuì con decisione.
Lui proseguì.
«So che ti ha accompagnato Pist, e ha fatto bene... non si sa con chi avresti potuto avere a che fare! È un buon amico. Ma non dire neanche a lui chi sono. Va bene? Lo farai per me, Momo?»
"Eccerto" che lo avrebbe fatto! Era il minimo!
«Stai tranquillo, mi inventerò una mezza verità!»
«Bene!»
In quell'istante Momo considerò la sua disavventura. Lui le aveva riportato lo zaino. Doveva sapere!
«Pist diceva che mi seguivi e io volevo capire se fosse vero... ma ho finito per fare una cazzata. Tu... non so se effettivamente mi seguissi o sia stata una coincidenza... comunque volevo dirti grazie.»
Lui alzò la mano come a dire che non era stato niente di che. Ma Momo restò a fissarlo e comprese che, forse, doveva spendere qualche parola a riguardo.
«Non ti stavo seguendo. Ero alla ricerca di un posto da usare per un mio nuovo graffito. Stavo tornando a casa quando ti ho vista lungo la strada. Ero, più avanti, nella zona sterrata quindi, fuori dalla tua visuale. Ho adocchiato quei tizi, agendo di istinto. Devo ammettere di avere avuto anche abbastanza culo perché l'idea per fermali era abbastanza "estrema": ho lanciato sulla strada la bomboletta che aveva in mano e poi un'altra e loro per schivarne una, hanno preso in pieno l'altra che gli ha fatti sbandare e cadere a terra. Con una terza bomboletta sono arrivato sino a loro e... beh, gli ho fatto mangiare un po' di vernice» rise e Momo sentì come un brivido.
Non si poteva dire che "Supernerd" fosse bello, di certo non nel senso più comune del termine, ma aveva un viso interessante, i lineamenti taglienti, gli occhi castani, luminosi ed espressivi e un sorriso che solo ora notava essere piuttosto affilato.
«Così ho recuperato lo zaino e te l'ho riportato ma tu eri svenuta e ho pensato di chiamare un'ambulanza ma vedevo che non avevi ferite, così ti ho tenuta d'occhio con l'idea di farlo se non ti fossi ripresa nel giro di pochi minuti, dimostrando di stare bene.
Quando ho constatato che fosse così mi sono dileguato.»
«È stata in quell'occasione che ho pensato che tu potessi essere un fantasma!»
Lui rise e Momo lo seguì, ridendo a sua volta.
«Come sapevi che avevo capito?» chiese improvvisamente Momo.
Lui sembrò rifletterci su o forse stava solo cercando le parole giuste.
«Ti dico quello che penso. Penso che non contava se tu l'avessi risolta o meno. Ti sei interessata ai miei lavori perché ti hanno incuriosita e io penso che le persone curiose abbiano una marcia in più per andare oltre la superficie. E so che tu lo sei tanto, Momo.»
Un nuovo sorriso di lui e un nuovo battito perso di lei.
«Ora devo andare, ci si vede a scuola!» le si avvicinò, chinandosi sino a raggiungere il suo viso e Momo, questa volta, sentì il cuore fermarsi totalmente, mentre una scossa le partiva dalla nuca, scendendo lungo la schiena.
Le stampò un bacio sulla fronte e avrebbe vacillato se non avesse sentito Pist chiamarla dall'ingresso.
Lanciò uno sguardo impanicato a "Supernerd" che la incoraggiò ad andare da lui, facendole l'occhiolino.
Doveva preservare il "loro segreto".
Momo annuì, voltandosi per raggiungere l'amico.
«Eccomi, arrivo!»
«Tutto bene?» chiese Pist con un po' di apprensione.
«Tutto bene!» gridò lei da dove si trovava. Era passata mezz'ora e non se ne era minimamente accorta? O a Pist era presa l'ansia?
Quando si girò per dare un ultimo saluto al "Fantasma delle enigma-parole" lui, da buon "fantasma" era evaporato. Solo il graffito color fragola, giallo, arancio, rosa e azzurro... i colori di Momo, testimoniava che lui era stato lì.
«Andiamo!» disse una volta raggiunto Pist.
Lui la seguì fuori, sino al motorino.
«Allora, com'è andata?»
«Bene!»
«Lo hai visto, che tipo è?»
«Sì, finalmente ho visto che aspetto ha il "Fantasma delle enigma-parole!»
«E...?»
«Ed è un tipo insospettabile... mai fidarsi delle apparenze, si rischia di perdersi il meglio!»
Ovviamente Pist non comprese a cosa si riferisse Momo ma prese per buona la risposta, dandogli un suo senso.
«Devi raccontarmi!» incalzò lui
Momo sorrise, un sorriso furbo.
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STORIA DI MOMO
Krótkie Opowiadania"Momo era simile a tante altre ragazze pseudo-alternative, con i vari eccessi estetici e caratteriali. Ma simile non vuol dire uguale e in lei vi era qualcosa di diverso... non da tutti ma da molti."