Capitolo Uno.

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La bellezza non è che il disvelamento di una tenebra caduta
E della luce che ne è venuta fuori.

[Alda Merini]

1885, Toronto, Canada.

Sto precipitando, dove non lo so. So solo che quando ho chiuso gli occhi sono caduta. Non voglio più riaprirli.

È... la decima volta in un mese? Non lo so, ho perso il conto.

Non voglio mai aprirli. Sento che se lo facessi me ne pentirei e non potrei più tornare indietro. Sotto i miei piedi non sento niente di solido, sento solo il vuoto, come se stessi fluttuando nel nulla. Non sono nemmeno certa che si possa fare, eppure la sensazione è quella. Non è quel tipo di caduta violenta, con il vento che sembra invertire per un attimo la gravità, alzandoti i capelli e le vesti. Al contrario, sembra quasi che ci sia una forza che mi accompagna in fondo. 

Ma può davvero esistere la fine del vuoto? 

Odio il vuoto. E il buio. Pure l'ignoto se è oscuro.

***

Mi risveglio con dei sentimenti fissi in mente: egoismo, delusione, rabbia, ma anche paura.
Tutto d'un tratto il freddo mi invade il corpo, che è a contatto con il marmo. Devo essere caduta durante la notte... Sento delle voci provenire dall'esterno, ma non comprendo cosa dicono, e capisco che devono trovarsi al piano di sotto. Mi ricordo che questa casa verrà venduta e che oggi sarebbero dovuti venire dei valutatori a "verificare la qualità dell'immobile", come dice mio padre.

Nemmeno lui vuole trasferirsi, ama la nostra casa, ma a volte gli ricorda troppo mia madre, scomparsa nel sonno da cinque anni, due settimane, e tre giorni. Tengo il conto di tutti i giorni che passano come se un giorno potesse davvero tornare. Ora al suo posto c'è un'altra donna, che sta con lui solo per la sua situazione economica e lo trascina dappertutto come una marionetta. sinceramente non so come mio pare sia riuscito ad innamorarsi di lei, se solo il sentimento che mio padre prova verso di lei possa essere definito "amore".

Ci trasferiremo da Toronto a New York, in treno. Per essere nel 1885 è una vera novità, perché ci si sposta sempre in carrozza. Non sono eccitata, anzi, il solo pensiero mi provoca una fitta al cuore, perché mia madre ed io, quando ero piccola, progettavamo spesso riguardo ai mezzi che ci avrebbero permesso di andare a spasso con il vento.
Mi alzo proprio nel momento in cui qualcuno bussa alla mia porta e una voce rauca, familiare, mi penetra nelle orecchie:

<<Yuki, dovremmo entrare nella tua stanza, puoi prepararti per uscire...>> inizia mio padre, ma non finisco nemmeno di ascoltarlo. Mi raccolgo velocemente i capelli, mi infilo dei pantaloni da uomo, gli stivali che uso per andare a cavallo e un cappotto di velluto verde scuro; sotto di esso lascio ancora la camicia da notte. Dimentico per un momento l'etichetta che mi è stata inculcata fin da quando ero bambina e borbotto un "avanti" che credo nessuno abbia sentito.  

La finestra è rimasta aperta dalla notte precedente e senza pensarci due volte mi preparo a saltare.

La mia camera è al secondo piano, e casualmente si trova nella posizione perfetta per riuscire a raggiungere il ramo più grande dell'albero accanto. L'unica difficoltà è quella di riuscire a combattere la sensazione che si ha quando ci si lancia. È come giocare d'azzardo con la morte.

Inspiro profondamente la frizzante aria mattutina e salto. Le mie mani riescono ad aggrapparsi in tempo al ramo e nel giro di qualche secondo riesco ad arrivare a terra, servendosi dei rami che ho segnato con della vernice. 

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