Avevo giurato che eri onesto, e pensato che eri buono.
Tu che sei nero come l'inferno, scuro come la notte
[WILLIAM SHEAKSPEARE, sonnetto CXLVII]
Sto scappando, ma non so da cosa. In tutti i casi ho raggiunto un vicolo cieco; è notte e non riesco a distinguere niente. Mi giro e vedo una sagoma nera che avanza sulle mattonelle luride e vedo che sta sanguinando.
Sento un suono acuto e metallico. A terra accanto a me trovo un pugnale d'argento. D'istinto mi guardo le mani e noto che sono dello stesso colore delle gocce sul terreno: sono imbrattate di sangue; ha un colore molto scuro, troppo scuro per essere umano. Di colpo indietreggio sbarrando gli occhi e mi scontro con un muro gelido. L'uomo mi fissa con uno sguardo vacuo e di colpo cade a terra. Così, silenziosamente, come se di colpo fosse scivolato in un sonno leggero, senza provare troppo dolore.
Sono diventata un'assassina.
Non può essere reale, non deve esserlo.
Trattengo il respiro e scappo via, nella direzione da cui sono venuta. Mentre passo davanti al cadavere non posso fare a meno di notare che il corpo dell'uomo, prima del tutto sconosciuto, si è trasformato in qualcosa a me molto familiare.
Di colpo mi fermo.
Me stessa... ma più mi fisso più capisco di non riuscire a riconoscermi: indosso un vestito bianco, lungo, di seta. La gonna è tutta aperta come un ventaglio sulla pietra e il corpetto, ovviamente molto stretto, è imbrattato di sangue fresco, in continua espansione. Ma non è il vestito che mi preoccupa, non è trovarmi morta. Quello che più mi spaventa è che il sangue sta sgorgando dall'interno, senza aver aperto uno squarcio sul vestito. La ferita è stata aperta dall'interno.
Scappo via.
Qualcuno mi chiama.
Corro più veloce.
Mi sento scuotere.
Tutto quello che mi sta attorno inizia a smaterializzarsi. Finalmente grido.
***
<<Era solo un incubo>> una voce melodiosa mi penetra nelle orecchie <<non preoccupatevi, è tutto finito>> apro gli occhi e sopra di me piomba uno sguardo dorato.
<<Io... >> comincio, ma lui non mi lascia finire. Mi aiuta a rialzarmi e scopro di essergli caduta sulle ginocchia. La vergogna mi assale di colpo e appoggio la testa sul finestrino gelido.
<<Io... Voi... dovete scusarmi>> non riesco ad aggiungere altro.
Lui mi guarda inclinando la testa e un sorriso gli illumina il viso
<<Non preoccupatevi signorina, succede tutti i giorni che le donne cadano ai miei piedi... o meglio, alle mie ginocchia!>> commenta lui ironico. Non riesco a trattenere una risatina liberatoria. Una risatina. Io?!?.
<<Dunque, cosa stavate sognando, se posso chiedere?>> domanda esitante. Non so come mai, ma c'è qualcosa nel suo sguardo che mi spinge a fidarmi di lui:
<<Stavo scappando -non so ancora da cosa- e mi sono ritrovata in un vicolo cieco...>> mi blocco. Non sono sicura di poter raccontare i miei sogni ad uno sconosciuto.
Lui capisce e dice:<<Se è un sogno troppo personale non siete obbligata a raccontarmelo>>. Decido di confessargli tutto, senza tralasciare nemmeno la parte del trovarmi morta. Al termine del racconto, deglutisco a fatica e mi aspetto che mi dica che sono pazza, che è uno dei sogni più stupidi che abbia mai sentito, come qualsiasi persona normale avrebbe detto.
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Unknown
General FictionCosa potrebbe succedere se le persone si accorgessero che i sogni sono qualcosa di vivo? 1885 Yuki Watson un tempo viveva in Canada, a Toronto. Un tempo sua madre era viva. Ma quando aveva dodici anni lei se ne è andata dalla sua vita. Morta nel so...