Capitolo Dodici.

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Will's P.O.V.

Yuki aveva sempre avuto una strana visione del mondo.

Lo avevo capito dal primo momento in cui la vidi. Me lo ricordo come se fosse ieri quel giorno. Lei aveva quattordici anni e io quindici, ma, nonostante l'età, non sembrava essere cresciuta come una signora. Stava nascosta dietro a suo padre e ci guardava preoccupata. Io, subito dopo le presentazioni, mi avvicinai e prendendole la mano destra le depositai un leggero bacio sul dorso. Lei arrossì violentemente, come non abituata a quel genere di azioni, ed i suoi occhi spalancati erano come terrorizzati. Poi suo padre si schiarì la voce e lei come se di colpo si fosse ricordata le buone maniere, annuì una volta. Indietreggiai, e una volta ritornato di fianco a mia madre, le sorrisi. Lei dopo qualche secondo ricambiò timida con quello che sarebbe stato uno dei pochi sorrisi che mi avrebbe rivolto continuando a conoscerci.

Il secondo sorriso sincero me lo regalò qualche mese dopo. Era il mio sedicesimo compleanno e mia madre si rifiutava di lasciarci assaggiare la mia torta finché non sarebbero arrivati gli ospiti. Io rifiutai e insieme a Yuki riuscii a rubarne una fetta. Stavamo per eliminare le prove quando la cuoca ci scoprì e noi scappammo dalla cucina sperando che se ne sarebbe dimenticata. Passammo dalla finestra e raggiungemmo i cavalli, con i quali cavalcammo nel bosco. Progettammo di non tornare più a casa e rimanemmo fuori finché non si fece buio e entrambi morivamo di fame. Così decidemmo di tornare, ma solo per prendere le provviste. Purtroppo il nostro piano sfumò perché ci dimenticammo della mia festa quella sera e, entrando dalla porta principale, fummo accolti da almeno una cinquantina di persone irritate dalla mia assenza.

Ci guardammo di sfuggita e riuscimmo comunicarci cosa avremmo dovuto fare. Saremo passati in mezzo a tutti come se niente fosse, ignorandoli completamente, e poi ci saremmo diretti in cucina.

Mentre camminavamo nel centro della sala mi sembrava di essere un gigante, avevo sempre voluto fare una cosa del genere: lasciare perdere il resto del mondo e pensare solo a me stesso, ma solo con Yuki avevo avuto il coraggio di farlo. Quando li sorpassammo tutti lei mi guardò con un sorriso stampato sul viso -uno di quei sorrisi che ti riscalda il cuore- e entrambi scoppiammo a ridere talmente forte che dovetti piegarmi in due perché non riuscivo a rimanere in piedi.

E in tutta questa felicità sentivo solo in parte i commenti degli ospiti, e per la prima volta non mi interessavano. Non mi importava il parere di persone che avrei incontrato forse tre o quattro volte nella mia vita.

Quello di cui avevo bisogno ora era essere felice, e far felice Yuki.

Quando ci riprendemmo riuscimmo a salire in camera sua e chiudemmo la porta a chiave. Restammo in silenzio, in attesa che qualcuno venisse a prenderci, ma dal piano di sotto era solo udibile la piccola orchestra e il chiacchiericcio degli ospiti. Così, nel modo più cauto e silenzioso possibile, girammo la chiave nella serratura, per andare a controllare se non si fossero davvero dimenticati di noi. Ma non appena la porta si aprì entrambi per poco non gridammo dallo spavento. Catherine stava sulla soglia con gli occhi che sembrava stessero per prendere fuoco dall'ira e il viso era paonazzo.

Noi la fissammo terrorizzati e senza farcelo dire scendemmo in silenzio al piano di sotto per poi scusarci con gli ospiti per il nostro comportamento. La serata continuò come ogni altra serata passata con degli sconosciuti: pettegolezzi da parte delle signore, conversazioni di argomento politico intraprese dagli uomini e le solite presentazioni formali.

Ma io avevo altro di cui preoccuparmi. Ogni volta che incrociavo lo sguardo di Yuki il mio cuore mancava un colpo. Di cosa avevo paura? Di essermi innamorato di lei.

E più passava il tempo più me ne rendevo conto.

In tutti i casi la nostra adolescenza non era fatta solo di fughe primaverili o scherzi alla cuoca. Purtroppo no.

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