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Quando Jungkook uscì da camera sua quella mattina, dovette farsi forza per non rientrare dentro e chiudersi la porta alle spalle. Era strano, surreale, sapere di avere l'oggetto del proprio desiderio, qualcuno che si era agognato così a lungo, a pochi metri da dove si trovava lui in quel momento. Jimin si muoveva già con familiarità in casa sua, lo sentiva canticchiare sotto voce in sala da pranzo mentre probabilmente sistemava la colazione che Magda aveva preparato. 

Erano trascorsi un paio di giorni da quando Jimin era piombato in casa sua e da quando Jungkoook lo aveva avuto sotto di sé sul divano. Erano stati giorni strani ma tranquilli e stava iniziando ad abituarsi alla presenza di Jimin che lo accoglieva ogni giorno al rientro. L'energia dopo quella sera era stata strana e Jimin gli aveva lanciato occhiate enigmatiche ma Jungkook aveva fatto del suo meglio per far finta di non essersene reso conto. Sperava che ora che Jimin avrebbe iniziato il lavoro e sarebbe stato impegnato, la situazione si sarebbe schiarita.

Era cresciuto in un posto che difficilmente poteva chiamare casa, troppe persone che occupavano troppo poco spazio, e quando alla fine era riuscito a conquistarsi tutto lo spazio del mondo, si era accorto che ne aveva fin troppo e non aveva nessuno con cui spartirlo. Non gli pesava, era il giusto prezzo dei suoi sogni, si disse. Eppure eccolo lì, sulla soglia della sua stessa camera a cullarsi della presenza di qualcuno di cui aveva comprato la compagnia.

Il sangue gli ribolliva nelle vene al solo pensiero delle implicazioni che quelle parole avevano, gli ribolliva nel tentativo di cercare di mettere un perché a quel suo improvviso bisogno di una persona, a quel suo desiderio smodato e irrazionale.

Erano la gravità della sua scelta e la vergogna di sapere fino a che punto si era spinto, che gli impedivano di dare sfogo ai suoi istinti più crudi e sì, possedere Jimin lì sul tappetto persiano della sua sala da pranzo, come aveva sognato per un mese intero di fare e come aveva quasi fatto qualche sera prima. Lui era Jeon Jungkook, diamine, l'uomo che non aveva perso la sua compostezza mai e in nessuna circostanza. Era stato merito del suo ferreo autocontrollo, infatti, se era riuscito a costruire un impero.

Eppure.

Eppure era bastato uno sguardo ed eccolo a mendicare del calore.

Desiderio e senso di colpa, solitudine e orgoglio, Jungkook era sempre stato una contraddizione vivente ed era stato questo che lo aveva avvicinato a Taehyung. Perchè erano entrambi vigliacchi, innamorati del proprio successo, tremendamente soli e disperatamente alla ricerca di quella luce che avrebbe reso il tutto più bello.

Scosse la testa cercando di scacciare quelle sciocchezze e si diresse pertanto verso la fonte del suono. Jungkook era solito alzarsi presto, andare subito a farsi la doccia, vestirsi di tutto punto e solo dopo uscire. La colazione era un optional, qualcosa che faceva in fretta, in macchina o in ufficio, fuori se aveva tempo.

Era da un sacco di tempo che non si concedeva il lusso di farla a casa.

Come quando aveva varcato la porta la sera prima, Jungkook non poté evitare che il suo stomaco facesse le capriole alla vista di Jimin. Il suo occhio di stilista notò che era vestito di una camicia bianca, semplice, senza disegni, ma di ottima fattura e che gli stava alla perfezione. Notò anche che i pantaloni neri che indossava complimentavano le sue gambe, tuttavia ciò che gli tolse il fiato, fu il sorriso che l'altro gli rivolse.

Jimin che gli dava il benvenuto come la più perfetta delle creature, delle concubine, Jimin sotto di lui sul divano.

"Buongiorno!" Lo accolse Jimin con voce squillante, Jungkook si limitò ad annuire, non era un tipo molto loquace la mattina ma riconosceva lui stesso che era bastata la presenza dell'altro per rasserenare il suo solito tetro umore mattutino.

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