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C'era chi poteva, e chi no.

Era sempre stata chiara a Jimin questa verità.

Poteva dire con assoluta certezza che il mondo non era diviso in ricchi e poveri. Il mondo era diviso tra coloro a cui erano concesse opportunità e coloro a cui non erano. La disuguaglianza si basava infatti su un concetto molto più crudele dei soldi e della indigenza, e col tempo Jimin si era convinto che cose come l'autodeterminarsi e il superarsi fossero concetti creati e capibili solo da pochi privilegiati. Non erano concetti per persone come lui.

Per persone come lui esisteva solo il termine inevitabile.

Inevitabile erano tutte le cose brutte che gli erano capitate e che lui aveva dovuto sopportare. Inevitabile era la sua vita e il modo in cui si era dovuto guadagnare l'agio di cui ora disponeva.

Jimin sospirò, mentre si lasciava scivolare di lato sulla sedia fino a che la sua tempia non toccò la fredda superfice della vetrata.

Jimin era nervoso qualcosa che non gli capitava da molto tempo ed era per questo che si era seduto a un tavolino attaccato alla vetrata di modo da poter tenere d'occhio la strada e sentirsi meno claustrofobico. Il freddo si irradiò per tutto il suo viso in modo piacevole ma non abbastanza da dargli un vero sollievo. Non solo aveva il solito aggravio di sentimenti e pensieri confusi ma ad essi si erano associati nuovi accadimenti che mettevano la figura di Jungkook sotto una luce strana.

Il vetro iniziò ad appanarasi il calore del suo respiro ma lui non vi fece caso perso com'era nelle sue riflessioni.

Jimin non voleva essere scusato e non si era mai aspettato trattamenti di favore dalla vita men che meno dagli altri. La sua vita, dopotutto, non era neanche la peggiore che si potesse vivere, c'erano molteplici storie più strappalacrime della sua nel posto da cui veniva, perciò che diritto aveva lui di richiedere un trattamento speciale dal destino?

Eppure era anche vero che il suo dolore era stato reale. La sua vergogna e sofferenza pure. Aveva sperato un tempo ed era stata quella stessa speranza a costargli caro. La sua stessa volontà di sollevarsi aveva finito con farlo sprofondare nell'abisso.

L'inferno non era affatto di fiamme ma di cumuli di denaro sporco.

Era per questo motivo che ancor prima di conoscerlo la storia del successo di Jungkook gli era stata così preziosa come solo la storia di qualcuno che era scappato da sotto l'ala oscura dell'inevitabile poteva esserlo.

Erano entrambi orfani ed entrambi erano nativi di Busan. Eppure le loro vite avevano preso direzioni così diverse che era impensabile potessero sfiorarsi mai. Il destino aveva scelto un modo alquanto curioso per costringerle a farlo. Sesso e denaro, i perni su cui poggiava il mondo.

Il suo cuore si strinse dolorosamente nel ripensare a quello che Jungkook gli aveva detto qualche giorno fa nel tornare a casa. Ma prima che la sua mente potesse precipitare nella paranoia, la porta della tavola calda si aprì per ennesima volta quel pomeriggio e il modo in cui il nuovo arrivato esitò sull'uscio, suggerì a Jimin che la persona che stava aspettando era arrivata.

Si mise dritto sulla sedia nella stesso tempo in cui il suo sgaurdo andò subito in quella direzione, alla ricerca di un profilo che conosceva bene.

Era Taehyung che vestito di una giacca leggera ma con il collo alto che gli copriva il viso fin sotto il naso, si guardava intorno, i suoi occhi grandi e smarriti che saltellavano ansiosi da un angolo all'altro.

Sapere che anche lui era nervoso sembrò tranquillizare Jimin un po' e quando infine i loro sguardi si incontrarono, un timido sorriso si fece strada nel viso di entrambi. Jimin lo vedeva dal modo in cui gli occhi dell'altro si erano ingentiliti.

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