𝐈𝐟 𝐓𝐡𝐞𝐫𝐞'𝐬 𝐀 𝐒𝐡𝐚𝐝𝐨𝐰, 𝐓𝐡𝐞𝐫𝐞 𝐌𝐮𝐬𝐭 𝐁𝐞 𝐋𝐢𝐠𝐡𝐭

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Un respiro profondo

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Un respiro profondo.
Gli applausi giungevano già alle sue orecchie, le urla gli penetravano nella testa arrivando fino al cervello.
Il ragazzo incappucciato inalò tutta l'adrenalina che lo circondava: era come una droga; una volta provata, la fama, non saresti più stato in grado di lasciarla andare. Gliel'avevano ripetuto fino allo sfinimento, i suoi insegnanti, Hyunjin, Jihyuk e Eunbi, Woojin e chiunque lo conoscesse – escluso Jisung, ovviamente.
Buttò a terra la sigaretta e decise che forse era arrivata l'ora di tornare nel camerino per prepararsi all'esibizione. Richiuse la porta alle sue spalle e si diresse verso la stanza assegnata.
«Dove cazzo fossi finito, nemmeno Dio lo sapeva» ringhiò un ragazzo dai capelli blu e gli occhi dello stesso colore, le braccia ricoperte da tatuaggi, afferrandolo per la collottola e spingendolo all'interno del camerino, facendolo finire addosso alla poltrona.
Subito l'altro si alzò, pronto a contrattaccare. «Ero andato a fumare una maledettissima sigaretta – sputò – Ora non si può nemmeno fumare in questo mondo?».
«Calmi tutti e due – intervenne un altro, facendo sedere l'incappucciato davanti allo specchio – Adesso dovete esibirvi, litigherete dopo. Changbin, porca tua sorella sottolio, se non stai fermo un secondo ti amputo tutti gli arti che hai e li faccio bollire insieme a quel minimo talento che possiedi».
Changbin sbuffò, osservandolo darsi da fare attraverso lo specchio in mezzo a tubetti per fondotinta, prodotti per i capelli, creme varie e trucchi. Era decisamente bello, di una bellezza quasi eterea, di una di quelle che ti lasciano senza parole. I capelli, mai tinti per paura di rovinarne la purezza, di colore nero; gli occhi del medesimo colore, ma di una dolcezza infinita; il fisico tipico di un ballerino quale era; la pelle delicata e pulita grazie alle innumerevoli maschere e creme che metteva. Il ragazzo in questione ricambiò il suo sguardo e sorrise, arrossendo pure leggermente. L'altro abbassò gli occhi.
Il manager entrò nella stanza. «Sbrigati Hyunjin – disse al ballerino – Tra dieci minuti si va in scena».
Annuì e si rimise all'opera. Changbin si mise a giocare con le mani. Sapeva benissimo di piacere a Hyunjin e a dirla tutta nemmeno a lui stava del tutto indifferente. Ma per qualche motivo, quando il più piccolo si era dichiarato a lui, lo aveva rifiutato.
Che non gli piacesse veramente? Affatto.
Che avesse paura di una relazione? Improbabile.
Semplicemente una sensazione dal cuore gli impediva di essere il vero Changbin davanti a lui. Non pensava fosse veramente la persona a lui destinata. Non che questo non gli avesse impedito di lasciarsi andare con lui.
«Ecco fatto!».
Changbin si alzò dalla sedia, togliendosi la felpa logora che stava indossando ed infilandosi una camicia a quadri sopra alla maglietta bianca. «Grazie Hyunjin, vai pure a sederti ora» lo liquidò, prendendo il quaderno dei testi dal tavolo al centro e sedendosi di fianco a Jisung.
«La scaletta è questa – spiegò l'altro, osservando il ballerino uscire dalla stanza con la coda dell'occhio – Apriamo con "WOW". Proseguiamo poi con "Himi dwae", "IF" e "I SEE". Concludiamo con "Matryoshka" e "ZONE". Tutto chiaro?».
Il maggiore annuì sospirando. Se solo ci fosse stato ancora Christopher se la sarebbe goduta anche un po' quella dannata fama...
«Si va in scena».

Changbin si rigirò, nudo, tra le lenzuola del letto del motel in modo da poter guardare la schiena scoperta del ragazzo sdraiato accanto a lui. Sorrise. Hyunjin era meraviglioso ed etereo pure quando si trovava nel mondo dei sogni – mentre lui somigliava ad una balena spiaggiata che russava decisamente troppo.
Si avvicinò all'amico e cominciò a baciargli la schiena, percorrendo tutta la spina dorsale. Lentamente il minore si svegliò dal sonno, reagendo alle sue attenzioni stiracchiandosi e girandosi. Il maggiore, prontissimo, si sporse e catturò un bacio veloce come la luce.
«Buongiorno» lo salutò. Nonostante le coccole che gli aveva appena regalato la voce di Changbin risultava ancora più fredda del ghiaccio.
Il ragazzo sorrise, socchiudendo gli occhi e mostrandogli i suoi denti candidi. «Buongiorno Binnie» mormorò, la voce rauca e la bocca impastata dal sonno.
Il più grande si alzò dal letto. «Vado a farmi la doccia. Devo andare in studio alle 9.30, per cui prendi le misure e considera il tempo che hai prima di dover andare via» detto questo entrò in bagno e chiuse la porta a chiave. Sospirò, accendendo l'acqua della doccia in modo che si potesse scaldare prima di entrare. Aveva sottointeso che una volta uscito fuori dal bagno l'amante avrebbe dovuto essere già fuori dalla porta, in via di ritorno, ma era sicuro che Hyunjin avesse colto il messaggio. Dopotutto, non era la prima volta che passavano una notte come quella che era stata.
Fu così. Quando Changbin uscì dal bagno l'amico era già in cammino, il solito magone in gola che precedeva le lacrime. No, si disse, non avrebbe pianto per strada.
Come il maggiore gli aveva ordinato si era alzato, aveva raccolto i suoi vestiti da terra – raccattando i pezzi di quel minimo di dignità che gli era rimasta assieme ad essi – e se n'era andato il prima possibile. E quando Seungmin, il suo compagno di stanza, lo aveva visto oltrepassare l'uscio del loro appartamento sospirò, poiché aveva già capito di dover chiedere l'ennesimo favore a Woojin per coprirlo a lavoro in modo da poter consolare il suo non-così-tanto-migliore-amico dall'ennesima delusione d'amore a causa di quel pezzo di merda qual era Seo Changbin.
Changbin, dal canto suo, sembrava essere stranamente di buon umore quella mattina – forse per la notte movimentata che aveva passato o forse perché aveva preso una brioche alla crema di pistacchio particolarmente buona a colazione – ed arrivò perfino in anticipo allo studio.
Dopo aver preso due tazze di cappuccino alla caffetteria dell'agenzia si mise subito al lavoro, aprendo cartelle e file di tutti i tipi il più velocemente possibile, preferibilmente prima che la melodia gli sparisse dalla mente.
Fortunatamente riuscì a finire la canzone prima che se ne dimenticasse. Finì la sua seconda tazza di caffè e si lasciò andare sulla sedia girevole, voltando la testa verso l'orologio. 9:56. Changbin grugnì, commentando con una smorfia l'impressionante ritardo di Jisung. Non che lui fosse puntuale come la morte, ma quelli in ritardo di più di un quarto d'ora li detestava. Come detestava le persone disordinate, le persone con i capelli tinti, gli stranieri – non che fosse razzista, semplicemente si innervosiva a parlare con qualcuno che non sapeva bene il coreano visto che nemmeno lui sapeva parlare bene l'inglese. C'era stata una sola persona con cui aveva portato pazienza, tempo prima...
Il rapper si passò le mani sul viso, sentendo l'irrefrenabile bisogno di svuotare la vescica a causa dell'enorme quantità di liquidi ingeriti precedentemente – vedi due tazze di cappuccino. «Devo pisciare» sbottò, alzandosi e andando in bagno a soddisfare i suoi bisogni.
Una volta finito alla toilette ritornò in studio, allacciandosi la cintura mentre ritornava. Pessima idea. Sapeva a malapena pensare mentre faceva qualcos'altro, figuriamoci pensare, allacciarsi la cintura e camminare allo stesso tempo! Impossibile.
«Porca miseria» imprecò, fermandosi nel bel mezzo del corridoio, davanti alla porta dello studio, per poter finalmente sistemare la cintura senza dare di matto
«Wa! Che strano posto quello in cui siamo finiti!».
«Lix per favore non toccare nulla che fai solo guai!».
«Cos'è questo? Sono abbastanza sicuro non esistesse a Deneb!».
«Felix smettila!».
Changbin si fermò sull'uscio, ascoltando attentamente. Che i due stranieri fossero nel suo studio? Decise di stare fermo un altro po' a sentire i due litigare, facendo lavorare un po' la sua parte del cervello dedicata all'inglese, ormai piena di ragnatele.
«Ma cosa stiamo facendo esattamente in questo posto?».
«Dobbiamo assolutamente trovare una persona – disse il più grande dei due – Quella persona potrà far finire la guerra di Deneb».
«Chris... Noi non siamo assolutamente abituati a questo posto... Come faremo a sopravvivere?».
Il rapper spalancò gli occhi. Per caso aveva detto "Chris"? Scosse la testa. Il Christopher che conosceva lui, il suo migliore amico era sparito quasi dieci anni prima. E poi cos'era quel Deneb di cui stavano parlando? Decise di entrare nella stanza prima che potessero combinare qualche danno.
«YAW!» urlò, chiudendo gli occhi ed irrompendo nello studio, brandendo la cintura come si fosse trattato di una frusta.
«Fermo!».
Sentì la cintura fermarsi a mezz'aria, presa forse da uno dei due ragazzi. Aprì gli occhi piano, quasi con paura.
La prima cosa che vide fu un viso abbronzato; le lentiggini coprivano tutta la zona sotto gli occhi ed il ponte del naso; due labbra piene e rosa pallido aperte in un sorriso; due occhi non asiatici di un colore tendente al verde che lo guardavano con curiosità bambina. Stava tirando la cintura, cercando di fargli mollare la presa su di essa. La lasciò andare, continuando a guardare lo straniero negli occhi.
«Changbin...?».
Si girò verso l'altra persona e per poco non svenne. Non era cambiato di una virgola.
«Christopher?» sussurrò, incredulo.
Christopher sorrise, annuendo. L'unica cosa diversa in lui erano i capelli, non più castano scuro e ricci, ma verde broccolo e lisci sulla sua testa. Erano rimasti gli occhi verdi e gentili, di un taglio solo in parte asiatico; era rimasto il fisico palestrato di una volta; era rimasta l'espressione dolce e sicura. Era proprio lui, Bang Christopher Chan, il suo migliore amico di una volta.
Changbin avvertì qualcosa bagnargli la guancia e solo allora si accorse di star piangendo e singhiozzando senza vergogna da una cosa come due minuti. Chan aprì le braccia – stava piangendo pure lui, notò il rapper – e sorrise ancora di più. Il minore fece due passi verso di lui, il più velocemente possibile.
E con tutto l'amore fraterno che provava per lui e con tutta la forza che aveva in corpo gli tirò una sberla. Una sberla talmente forte da riuscire a fargli voltare il capo dall'altra parte.
«Prova a sparire un'altra volta così – tirò su col naso, puntando l'indice contro il suo petto, gli occhi in fiamme – Provaci soltanto. E ti faccio pentire di essere nato».
Chan scosse la testa in segno di assenso. Finalmente Changbin si lasciò andare, stringendolo in un abbraccio. «Mi sei mancato Testa di Broccolo» mormorò, dandogli pacche sulle spalle.
Il più grande rise. «Sono tornato da solo cinque minuti e mi hai già tirato una sberla e dato un nuovo soprannome imbarazzante! Facciamo passi in avanti!» scherzò, scompigliandogli i capelli.
«Yaw» disse il più piccolo, imbarazzato ed infastidito.
L'altro ragazzo li guardò interagire senza dire una parola – dopotutto non sapeva il coreano – sorridendo al dolce interagire tra i due. Dopo alcuni minuti passati a chiacchierare finalmente Chan si ricordò della sua presenza.
«Changbin-ah, questo è Felix, mio fratello minore...» lo presentò, passandosi una mano sul retro del collo quasi imbarazzato.
L'australiano arrossì, porgendo una mano all'altro. «È un piacere conoscerti» disse cortesemente.
Changbin osservò la sua mano con sufficienza per poi stringergliela. «Non so cosa tu abbia detto per cui vedi di imparare il coreano» ribatté.
Il biondo rimase spiazzato dalle parole del più grande, una volta tradotte da Chan. Com'era maleducato! Non tutto il mondo poteva sapere il coreano per stare ai suoi comodi! E se mai avessero fatto così con lui, come si sarebbe comportato?! Felix, camminando dietro ai due fece la linguaccia a Changbin, mandandolo anche a quel paese poco elegantemente.
«Ci sta portando a casa sua – gli spiegò Christopher, girandosi finalmente verso di lui – Vuole farci conoscere tutta la sua compagnia. E ci sarà anche Jisung!».
Felix fece una smorfia. «Parla al singolare. Di sicuro con me non vuole avere nulla a che fare!» borbottò.
Chan lo guardò con disapprovazione. «Invece di lamentarti e fare il turista in capace cerca di migliorare il tuo coreano finché stiamo qui! Non ti ho fatto tutte quelle lezioni per nulla, sai!».
A quelle parole rispose indossando il suo peggior broncio e seguendoli verso l'appartamento della compagnia senza dire una parola.


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ʀᴏᴀᴅ ɴᴏᴛ ᴛᴀᴋᴇɴ | ᴄʜᴀɴɢʟɪx/ʜʏᴜɴʟɪx (ɪɴ ʀᴇᴠɪꜱɪᴏɴᴇ)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora