Capitolo 5

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L'indomani mattina, Irvine si alzò all'alba, pronta a darsi da fare, così da distrarsi dai suoi pensieri; indaffarata in cucina, intenta a ripulire il grande camino utilizzato per cuocere le pietanze, metteva impegno e dedizione inauditi in quel semplice compito, come se da esso derivasse la sua stessa vita.

Con le gonne raccolte fino a metà coscia, in modo da non sporcarsi le vesti chiare, inginocchiata tra la fuliggine, raccoglieva la cenere in un grande pentolone. Ripensava a ciò che le aveva detto Hakon la sera precedente, al suo sguardo carezzevole. Non riusciva più a scrollarsi di dosso la sensazione di familiarità che le dava la vicinanza di quel barbaro.

Era tutto sbagliato, ma un fiore non chiede il permesso di sbocciare. Nasce e cresce anche in mezzo alla roccia dura e spigolosa, fiorisce in tutta la sua bellezza nei posti più impensabili. E così questi desueti sentimenti per il suo padrone si affacciavano nel suo cuore senza che lei potesse decidere alcun che.

Con le mani annerite dalla cenere e il cuore scurito dal dubbio, Irvine si alzò in piedi sollevando la tinozza ormai piena, quando sentì la voce dell'oggetto dei suoi tormenti provenire dal cortile esterno. Si affacciò per sbirciare e vide Hakon impegnato ad addestrare una decina di uomini.

Sotto il sole mattutino, privo della solita armatura e con i capelli semi raccolti, era di una bellezza abbagliante. I muscoli della braccia guizzavano sotto il tessuto scuro della casacca, e il collo possente si irrigidiva a ogni ordine emanato gridando. I suoi occhi splendenti erano duri e concentrati mentre impartiva ordini, e la sua espressione solenne e minacciosa, che avrebbe intimorito qualunque nemico e forse, fino a ieri, avrebbe sortito lo stesso effetto anche su di lei, ora le appariva semplicemente mascolina e attraente. Dopo aver visto il suo vero volto, quello dell'uomo che si nascondeva dietro quello del guerriero, lei sapeva che la sua era solo facciata.

Non che dubitasse dell'abilità di Hakon in battaglia, ma ora sapeva con certezza che non aveva nulla da temere da lui; e cosa ancor più importante, aveva scoperto che anche lui possedeva un cuore capace di provare gli stessi sentimenti di chiunque altro: dolore, malinconia, pietà e forse affetto. I suoi occhi ora lo guardavano in modo diverso.

"Ti godi lo spettacolo dalla prima fila, sassone." Presa com'era dal rimirare il bel soldato, Irvine non si era accorta dell'arrivo di Oleg, sopraggiunto alle sue spalle.

Per lo spavento, fece cadere a terra il calderone, spargendo la cenere a terra, oltre che tutto addosso a sé. Una piccola nuvola di fumo la separava da quell'uomo ripugnante, ma anche se annebbiati, i suoi occhi potevano vedere benissimo l'espressione beffarda e pericolosa dipinta sul volto sfregiato del vichingo, che portava un paio di escoriazioni sulle guance, dopo la scazzottata di ieri sera.

"Sei piuttosto suscettibile, basta poco per intimorirti." Il tono di scherno la infastidiva parecchio, ma la follia che albeggiava negli occhi chiari dell'uomo la metteva in allerta, spingendola a evitare una qualsiasi ribellione.

Non c'è difesa contro la cattiveria e la pazzia, l'aveva imparato a sue spese. E Oleg sembrava essere entrambe le cose, sia cattivo che pazzo.

"Avete bisogno di qualcosa?" si limitò a dirgli, sperando che lui la lasciasse in pace al più presto.

"Sì, effettivamente c'è qualcosa di cui ho bisogno." Oleg diede un calcio al pentolone ormai vuoto e si precipitò da lei, spintonandola contro il muro e bloccandola con il suo peso riversato addosso. "Qualcosa che muoio dalla voglia di prendere, ma che ancora non posso avere."

Irvine ansimava come un cavallo chiuso in un recinto troppo piccolo; serrata tra il muro e il corpo mastodontico di un soldato avvezzo ai combattimenti, non aveva via di scampo e ogni suo tentativo di liberarsi era pressoché vano. Era in trappola, messa alle strette da quell'essere viscido.

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