Capitolo 13

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Hakon guardava la ragazza che giaceva nuda nel suo letto; osservava le sue curve genorose, la sua bocca gonfia per i baci ricevuti, le gambe appena dischiuse, che lo invitavano a farla sua e quell'espressione maliziosa dipinta sul suo bel volto. Elga, questo era il nome della graziosa prosituta di quella baracca, lo stava aspettando, attendeva che Hakon si togliesse i vestiti, come aveva fatto poco prima con lei, che saziasse sul suo corpo, più che pronto a riceverlo, quella fame e quella rabbia che lo stavano consumando; lei era solo un ripiego, uno sfogo, ne era consapevole, ma non le importava. Ciò che voleva era essere posseduta da quel vichingo con gli occhi cristallini. Raramente, nel corso dei dieci anni in cui aveva donato il suo corpo in cambio di poche monete, le era capitato di incontrare un ragazzo così bello e attraente. Per una volta, le sue grida di piacere e i suoi mugolii sarebbero stati reali e non fasulli.

Hakon aveva scelto quella ragazza dai capelli corvini in mezzo a tutte le altre. Aveva notato il suo sguardo su di sé e aveva capito che lei sarebbe stata perfetta per distendere i suoi nervi tesi. Elga l'aveva puntato sin da quando erano entrati nella taverna, ma aveva aspettato che fosse lui a fare il primo passo e così lui aveva fatto. Gli era sembrata la cosa più facile, appagante, lenitiva. Ma poi si era accorto che l'espressione mortificata di Irvine, quando lui aveva afferrato Elga e l'aveva fatta sedere sulle sue gambe, non gli aveva dato il piacere che sperava. Quel gesto avventato, fatto per pura rivalsa, gli si era ritorto contro e ora tutto quello a cui riusciva a pensare, mentre aveva a portata di mano una donna desiderosa di leccare le sue ferite, era la delusione stampata sulla faccia della sua schiava. Anche se non fisicamente, lei era in quella stanza con loro; stava in ogni singolo nervo del suo corpo e gli ricordava che niente e nessuno avrebbe potuto placare la sete che aveva delle sue labbra morbide e calde.

Preso dallo sconforto e dalla rabbia, Hakon, ancora completamente vestito, si fiondò su Elga, imprigionandola sotto il suo peso e appropriandosi della sua bocca, con la stessa voracità di un lupo famelico. Le labbra della ragazza erano esperte e avide e le sue mani bramavano poterlo spogliare e toccare, come sarebbe convenuto in un momento del genere. Per un attimo, Hakon si lasciò trasportare dalla frenesia, dimenticandosi cosa, o meglio chi, stava realmente animando i suoi pensieri reconditi e passionali. Afferrò la natica rotonda di Elga con una mano, strizzandola e spingendo la sua erezione crescente, rinserrata nei pantaloni, contro il suo basso ventre. Ma, quando Elga si lasciò scappare un gemito, l'incantesimo si spezzò e Hakon si arrestò immediatamente.

Quella non era la sua voce, non era la voce che tormentava i suoi sogni e i suoi pensieri. Quella non era Irvine e andare fino in fondo l'avrebbe solo reso più triste e frustrato. "Io non posso", disse, più a se stesso che a lei.

Con la stessa velocità con cui si era buttato su di lei, Hakon si alzò dal letto e si allontanò di qualche passo. Elga, con le guance arrossate e i capelli scompigliati, lo guardò confusa. "Qual è il problema?" gli chiese, indicando il suo più che evidente rigonfiamento dei pantaloni, schiacciato dal sottile tessuto scuro. "È chiaro che lo vuoi e così anch'io. Perché ti sei fermato?"

Hakon non aveva parlato con suo fratello dell'attrazione che lo legava alla sua schiava, figuriamoci se l'avrebbe fatto con una prostituta. "Perché ho cambiato idea." Come se avesse potuto scorgerla al di là della finestra che dava sul cortile, rivolse il suo sguardo in quella direzione. Chissà cosa stava pensando Irvine in quel momento, se era gelosa e si stava struggendo al pensiero di lui insieme ad un'altra.

Come se avesse intercettato i suoi pensieri, Elga tornò all'attacco, provando a convincerlo a tornare a letto con lei. "A chiunque tu stia pensando adesso, un'amante, una moglie, non ti devi preoccupare. Dovunque sia, non è qui con noi, ci siamo solo io e te adesso. Ciò che non sai non ti può ferire..." Le dita di lei sfiorarono la sua camicia, scendendo verso il basso, in un tacito tentativo di farlo desistere.

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