Capitolo 20

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Hakon stava spaccando legna da così tanto tempo che le vene sulle sue braccia sembrano scoppiare da un momento all'altro. Dopo che Oleg se n'era andato, era trascorso un intero giorno e un'intera notte senza che Irvine desse segni di miglioramento; era rimasto fedelmente al suo capezzale, disperandosi e pregando che lei guarisse e smettesse di delirare per la febbre. Cora continuava a ripetere che era del tutto normale, suo padre gli diceva che aveva visto uomini in condizioni peggiori riprendersi e Magnùss, ancora convalescente ma ormai fuori pericolo, provava a infondergli un po' di coraggio, sussurrandogli che la loro inglese era forte e cel'avrebbe fatta, con quel grande cuore racchiuso in un esile corpo avrebbe vinto qualsiasi nemico, perfino la morte. Hakon aveva ascoltato distrattamente ognuno di loro: per quanto apprezzasse la loro vicinanza, la paura di perdere la donna che amava era così forte da annientare qualsiasi speranza. Per questo, dopo aver trascorso la mattinata al suo fianco, senza toccare cibo o muoversi di un solo passo, era stato letteralmente buttato fuori dalla sua stanza.

Suo padre aveva dato di matto, era stato sul punto di colpirlo dritto in faccia, nel vano tentativo di farlo reagire. Magnùss era intervenuto, riportando l'ordine, ma intimandogli di uscire a prendere un po' d'aria e di alzarsi da quella maledetta sedia sulla quale era stato seduto per tutto il tempo. Sconsolato e ormai al limite della sanità mentale, aveva dato retta al fratello ed era uscito in cortile, mentre Magnùss sarebbe rimasto a fare le sue veci. Avrebbe dovuto mangiare qualcosa e provare a rilassare i nervi, ma tutto ciò che era stato capace di fare era afferrare un'ascia e scaricare la rabbia contro quei duri ceppi di castagno. Forse così la pressione che sentiva opprimergli lo stomaco si sarebbe allentata. Purtroppo, tutto ciò che aveva ottenuto erano dita scorticate e una spossatezza non più solo mentale ma anche fisica.

"Hakon! Hakon!" Le grida allarmate di Magnùss giunsero alle sue orecchie, caricandolo di paura.

Hakon corse dentro la tenuta e risalí le scale col cuore in gola e il timore che quelle urla non preannunciassero nulla di buono. In preda all'ansia più nera spalancò la porta della stanza, del tutto impreparato a una notizia funesta, pregando silenziosamente di vedere gli occhi di Irvine aperti. Quando la flebile voce di Irvine pronunciò il suo nome e il suo viso stanco e pallido si voltò nella sua direzione, Hakon avrebbe voluto lasciarsi andare sul pavimento, crollare su se stesso per la gioia.

Gli sembrava di aver vissuto un incubo, un lungo e tormentato incubo senza fine. E ora, ora che i suoi occhi si erano incrociati a quelli di quella splendida e granitica donna tutto il dolore era svanito, come una nuvola di fumo denso che si dissolve nell'aria. Era sparito.

Senza curarsi della presenza del fratello, corse incontro alla sua donna e le accarezzò il viso, saziando il bisogno di toccare con mano la sua pelle e di convincersi che lei fosse realmente viva.

"Sarà meglio lasciarvi soli..." Davanti ai loro sguardi intrecciati, colmi di parole e sentimenti che non potevano più contenere, suo fratello Magnùss decise di lasciargli un po' d'intimità.

Hakon, così come Irvine, percpí appena suo fratello allontanarsi e la pesante porta chiudersi. Tutto ciò che sentiva era l'immensa gioia che ribolliva nelle sue vene davanti agli occhi colmi di lacrime di Irvine. Il suo volto portava i chiari segni di ciò che aveva passato in quegli interminabili giorni, ma le sue iridi smeraldine brillavano sotto il suo tocco delicato. "Hakon, io... credevo che non ti avrei più rivisto."

Una lacrima solcò la guancia di Irvine e, spinto dall'amore incondizionato che gli era esploso nel petto, Hakon non si preoccupò di asciugarla, ma si avvicinò a lei e le baciò le labbra polpose, ora secche e disidratate. Era viva, ce l'aveva fatta, aveva lottato contro mostri più grandi di lei, contro la morte stessa ed era tornata da lui. Quel semplice bacio era un suggello più importante ed eterno di qualsiasi parola o promessa. "Non lasciarmi, non lasciarmi mai più, Irvine", sussurrò sulla sua bocca gentile, con gli occhi chiusi e l'animo in subbuglio.

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