Capitolo 10

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Irvine non era padrona di sé; con Hakon accanto non lo era mai stata, ma in quel momento, dopo due bicchieri di birra tracannati come fossero acqua, resistere ai suoi istinti era praticamente impossibile. Visto il suo scarso equilibrio, quando lui aveva aperto la porta alle sue spalle, era finita a terra e si era trascinata dietro anche lui. La rocambolesca caduta era terminata con Hakon disteso di schiena sul pavimento di assi e lei sdraiata sopra quell'ammasso di muscoli e pettorali.

I capelli del vichingo erano sparpagliati intorno al suo viso, come fossero un morbido e castano cuscino su cui poggiare il capo. L'espressione sorpresa, dipinta sul suo volto, era divertente, tanto che Irvine avrebbe voluto ridere insieme a lui per quella comica caduta, ma ora che gli occhi di Hakon erano passati dallo sbigottimento iniziale, all'eccitazione causata dalla posizione in cui si trovavano, a Irvine passò del tutto la voglia di ridere.

La sua attenzione venne catturata da quelle piccole e carnose labbra, contornate dalla sua barba scura e lunga. Sembravano un bocciolo di rosa attorniato da folte spine; avevano un'aria così morbida, così appetibile che Irvine, libera da ogni inibizione a causa dell'effetto dell'alcol, non resistette all'impulso di sfiorarle, per saggiarne la consistenza. Erano così lisce e vellutate...

Fu quando i suoi occhi annebbiati incrociarono quelli di lui, che Irvine si rese conto della situazione e di cosa stava facendo. Nel suo sguardo aleggiava la vergogna del suo status e del bizzarro gesto che aveva appena compiuto; in quello di lui si poteva vedere la fiammeggiante passione incendiare ogni singola sfumatura di quelle iridi colorate, che parevano più limpide che mai, in quel momento. Irvine posò le mani intorno al viso di lui, per trovare un appoggio e alzarsi, così da levarsi da quel corpo massiccio, ma Hakon la fermò, afferrandola per i fianchi e impedendole ogni movimento. Poteva sentire il calore partire dalle forti mani di lui e irradiarsi nel suo corpo, quasi come se quelle dita fossero tizzoni ardenti.

Il profumo di Hakon le solleticava le narici, le faceva girare la testa molto più di quanto avessero fatto due boccali di birra. Temeva che lui facesse qualcosa e, allo stesso tempo, pregava che lui non la lasciasse andare. La sua pelle fremeva dalla voglia di essere toccata da lui e la sua bocca desiderava ardentemente essere baciata come quella mattina, con lo stesso impeto irrefrenabile. Ma l'ultimo barlume di coscienza, rimasto sobrio, la spinse a tentare la fuga prima che fosse troppo tardi; così, Irvine fece pressione sui suoi piedi e cercò di slanciarsi, così da alzarsi e interrompere quel contatto fisico così pericoloso e allettante.

Hakon, senza alcuno sforzo, ribaltò la situazione, scattando fulmineo, come fossero in un corpo a corpo nel bel mezzo di una battaglia all'ultimo sangue, e capovolse i ruoli, facendo finire lei distesa a terra e lui a carponi sul suo ventre. Hakon era pesante e le teneva imprigionate le mani ai lati del  viso, così da impedirle ogni contrattacco. Era un gesto inutile perché Irvine era paralizzata, del tutto incapace di muoversi, non per paura questa volta, ma per quella famigliare stretta allo stomaco che sentiva, la stessa che aveva attorcigliato le sue budella anche quella mattina.

Hakon si chinò su di lei e si appropriò della sua bocca, togliendole quel poco di fiato che le rimaneva. Se esisteva un Dio, buono e amorevole come lo dipingevano i cristiani, non poteva giudicare sbagliata una cosa del genere, che le donava delle sensazioni così belle e intense. Brilla, confusa e stordita, a Irvine venne da ridere per tutti quei pensieri, probabilmente blasfemi, che le passavano per la testa in un momento così.

Hakon, assuefatto dal sapore della bocca di Irvine, ne percepì il retrogusto alcolico solo in un secondo momento. Fu quando sentì un risolino, soffocato dai suoi baci, risalirle dalla gola che si rese conto del fatto che gli occhi lucidi di lei, i suoi movimenti rallentati e quello sguardo senza filtri, erano probabilmente frutto di una sbornia con i fiocchi. "Quanto hai bevuto?" le chiese, staccandosi dalle sue labbra, ma restando fermo nella sua posizione.

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