Capitolo 5.

468 27 1
                                    

Erano le 2.00 del pomeriggio, quando suonò la campanella e l'intera classe si radunò fuori. Mi alzai lentamente dalla sedia, prendendo la borsa da terra e gettando i miei capelli castani dietro la spalla. Attraversai un serie di banchi posti prima del mio, quando poi uscii dalla  classe. Feci un lungo respiro, era stata una giornata faticosa, il Prof. di storia non aveva fatto altro che parlare della seconda guerra mondiale ed io mi ero annoiata a morte, passando il tempo a scarabbocchiare sul banco. Mi strinsi nelle spalle cercando di reprimere quei pensieri fastidiosi, scesi' le scale di quello spazioso edificio udendo da lontano le voci mischiate dei vari ragazzi. Mi fermai al terzo piano, notando l'immensa folla di ragazzi pronti ad uscire, c'era chi si spingeva, cantava, urlava e chi invece parlava tranquillamente. Mi poggiai sulla ringhiera delle scale aspettando che si facesse più spazio, quando la mia attenzione fu catturata da Alex in fondo gli scalini. 

''Ragazzi, dio santo basta fare confusione non si capisce niente.'' disse con aria infastidita. Passò una ciocca  ribelle dietro l'orecchio quando un ragazzo si avvicinò a lei con fare scherzoso. ''Andiamo Alex, divertiti un pò.'' quest'ultimo portò le mani sulle spalle di Alex spingendola delicatamente indietro, ma lei essendo sugli ultimi scalini cadde a terra. Spalancai leggermente gli occhi quando vidi Alex al suolo, mi feci spazio tra la gente che nel frattempo rideva, mi accasciai alla sua altezza porgendogli la mano. 

''E tu che vuoi? '' disse lei come sempre scontrosa. Deglutii guardando il suo sguardo privo di affetto ''V-voglio aiutarti ad alzarti, Alex.'' dissi prima di porgergli la mano, nuovamente. Sbuffò quasi ancora più infastidita ''Non ho bisogno del tuo aiuto, cazzo. Sparisci.'' mi rinfacciò lei con un tono che suonò vagamente minaccioso. Mormorai un ''Si.'' per poi allontanarmi di poco da lei, che aveva difficoltà ad alzarsi. La mia vocina interiore mi gridava ''Andiamo Destiny, aiutala.'' cosi' mi feci avanti, e gli presi gli avambracci notando nei suoi occhi un velo di irritazione,  fummo raggiunte da Sandy e Amber che non appena videro Alex in difficoltà si allarmarono. 

Eravamo in macchina in direzione verso l'ospedale, dovevamo accompagnare Alex, la caviglia era in gravi condizioni e la Professoressa di Educazione Fisica ci aveva consigliato di andare all'ospedale ed io, per qualche strano motivo, decisi di andare con loro. In auto il silenzio regnava, e io precepivo un certo calore nonostante il fatto stessimo in pieno inverno. Aprii il finestrino, chinando la testa di lato in modo da vedere la strada. Dopo un piao di minuti, mi ritrovavo a spingere la porta dell'ospedale accompagnata da Sandy, Amber, Alex e sua madre. Camminai con passo malfermo il lungo corridoio di quel posto triste, non ci venivo da anni, da quando mi feci male cadendo dalla sedia del tavolo di casa mia a soli 8 anni. Quel posto mi trasmetteva ansia, vidi Alex e sua madre sparire dietro una porta di quell'edificio, e io riaquistai la mia calma sedendomi su uno di quei sediolini ricoperti di un tessuto morbido. Notai Amber e Sandy avvicinarsi a me, quando poi alzai lo sguardo. I loro sguardi erano cupi. 

''Che cazzo hai fatto?'' disse la bionda guardandomi disgustata. Mi raddrizzai sulla sedia, cercando di mantenere la calma. ''Beh, un ragazzo l'ha spinta e io l'ho aiutata.'' cercai di mantenere un tono impassibile. Amber alzò un sopracciglio, come se stesse analizzando la mia risposta. Assottigliò gli occhi, mentre Sandy non spiccò una parola. 

''Bene,allora..grazie.'' disse mentre io gli risposi con un mezzo sorriso. Un minuto più tardi uscii' dalla stanza la madre di Alex. 

''Ragazze, Alex dovrà stare per un paio di giorni qui, quindi vi consiglio di tornare a casa. Se volete venire a trovarla, potrete sicuramente nel tardo pomeriggio.'' annuimmo tutte e tre. Io presi la borsa da terra, feci un piccolo saluto e mi avviai verso l'uscita. 

Camminavo con passo lento per le strade di Londra illuminate dal quel poco sole che era rimasto, diedi un occhiata all'orologio. Erano le 3.00 del pomeriggio , sospirai chiudendo leggermente gli occhi mentre il vento mi accarezzava i capelli. Le domande affollarono ancora una volta la mia mente, perchè quelle tre si comportavano in questo modo nei miei confronti? Non gli avevo fatto un bel niente. Mi si accapponò la pelle al solo pensiero che, forse, la situazione sarebbe sempre rimasta cosi'. Tutti contro di me. Senza accorgermene nemmeno era arrivata fuori la porta di casa, estrassi le chiavi dalla tasca inferiore del mio jeans, per poi aprire la porta. Mi sentii sollevata quando sentii l'odore delizioso che emanava quel posto, buttai la cartella a terra e mi diressi in cucina posando le chiavi sul tavolo e aprendo il frigo quando un voce emerse dal nulla. 

Getaway.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora