Capitolo 17

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-Cosa vuoi mangiare?- mi chiede Nico mentre siamo in fila per la cassa. La donna delle pulizie della Gucci si trova due persone avanti a noi, e continua ad evitarci.
-Signora, non vorremmo darle fastidio, se vuole ce ne andiamo!- urla il mio accompagnatore rivolto alla donna, e lei lo guarda con la coda dell'occhio, per poi ignorarlo. Nel frattempo tutto il locale si è girato ad assistere alla scena, così mi nascondo dietro Nico. Purtroppo fraintende il mio gesto (come sempre!), e mi cinge in vita. Uff.
-Cos'è, non ti piace stare al centro dell'attenzione?- mi sussurra all'orecchio lui, con quel suo solito sorriso da stronzo in volto.
Scuoto la testa in risposta, coprendomi il viso con le mani come per proteggermi dagli sguardi altrui.
-Se continuerai ad uscire con me, ti ci abituerai- aggiunge poi, e io gli do una gomitata.
Intendeva se continueremo la messa in scena con i miei genitori, giusto? Non credo che Nico intendesse dire che potremmo continuare a uscire veramente, non avrebbe senso...

-Buongiorno, cosa desiderate ordinare?- fa la cassiera rivolta a noi, e solo ora mi rendo conto che non ho nemmeno idea di cosa vendino. Do un'occhiata veloce ai tabelloni luminosi sopra la cassa con sopra le foto di alcuni hamburger molto invitanti mentre Nico ordina.
-Io prendo un cheeseburger doppio con ketchup e maionese... Ah, e anche delle patatine grandi con una Coca-Cola- poi si gira verso di me e mi fa un cenno verso la cassa. -Te invece cosa vuoi, amò?-
Lancio un ultimo sguardo ai tabelloni luminosi. -Un hamburger con ketchup, patatine e una bottiglietta d'acqua naturale, grazie-
-Come sarebbe a dire "una bottiglietta d'acqua naturale, grazie"? Con le patatine la Coca-Cola va a pennello!- si lamenta il ragazzo affianco a me, e io lo guardo male.
-Sarebbe a dire che a me non piace molto la Coca-Cola- mi stringo nelle spalle, e Nico mi guarda come se avessi appena bestemmiato. Mi porto una mano in faccia rassegnata.
La cassiera segna tutto sul suo monitor, poi ci dice il costo totale: dodici euro e trenta.
Faccio per prendere il portafoglio dalla tasca, ma Nico mi blocca la mano. -Pago io, amò- dice porgendo alla ragazza una banconota da venti.
-No, dai! Posso pagare da sola!- insisto, ma lui mi ignora e prende il resto che la cassiera gli ha appena poggiato sul bancone.
-Grazie mille!- fa lei, con un sorriso sgargiante e porgendo a Nico il vassoio con i nostri ordini.
-Grazie a lei- risponde il mio ragazzo, prendendo con una mano il vassoio e con l'altra la mia mano.
-Quel tavolo è libero- indico con un cenno del capo un tavolino situato vicino alla finestra, e faccio per dirigermici. Vengo bloccata da Nico, che non si sta muovendo di un passo e ha l'aria di qualcuno che ha appena visto un fantasma.
Non è che forse è così strano perché vede i fantasmi?
-No... Ehm, sai... Non adoro stare vicino alle finestre. Arrivano sempre troppi spifferi- spiega, evitando di incrociare il mio sguardo.
Ma che gli prende?
Non ribatto e lo seguo alla ricerca di un altro tavolo libero, nonostante sia dell'idea che mi stia nascondendo qualcosa: siamo in piena estate, perché si dovrebbe lamentare di qualche spiffero di aria fresca?
Nico individua un tavolino libero verso il fondo del locale, ma non chiedo nulla della sua scelta. Ci sediamo uno di fronte all'altro, evidentemente a disagio (o per lo meno, io lo sono molto), e Nico posiziona il vassoio verticalmente, in modo che sia sotto a tutti e due.
Osservo il mio hamburger senza assaggiarlo, giocherellando con una patatina e con il viso poggiato su una mano.
Perché Nico è così strano da stamattina? Anzi, non proprio da stamattina. Da quando ha ricevuto la telefonata.
-Non mangi?- mi chiede Nico, che ha praticamente ingurgitato metà cheeseburger con pochi morsi e ora si sta portando verso la bocca una manciata di patatine. Cavolo, quanto mangia! Eppure non si direbbe dal suo fisico asciutto.
-Mi devi una spiegazione- rispondo semplicemente, mangiando la patatina che avevo in mano e incrociando le braccia al petto. Spero di aver assunto un'espressione minacciosa tanto quanto immagino.
Ma quello stronzo ride, e capisco che non sono riuscita nel mio intento. -E va bene, hai ragione. Te l'avevo promesso- fa, cercando di girare intorno all'argomento.
Incattivisco lo sguardo, e gli faccio cenno di continuare.
-Beh, come avrai già sospettato, il motivo del mio "strano comportamento"- e mima le virgolette con le dita -è legato alla telefonata che ho ricevuto prima-
-E anche al messaggio?- lo interrompo, e lui mi scruta come se stesse valutando se dirmi la verità o no.
-Sì, anche al messaggio- dice infine, e solo adesso mi rendo conto che stavo trattenendo il fiato.
-Chi te l'ha mandato? E che diceva?- insisto. Non posso più aspettare per saperlo.
Nico agita le mani davanti a me per dirmi di calmarmi. -Piano. Una cosa alla volta-
-Okay- mi rannicchio sulla sedia e mimo una zip che si chiude sulle mie labbra. Lui mi guarda come per assicurarsi che io non emetta più suono, poi continua.
-Allora... Partiamo dal presupposto che io questa storia l'ho raccontata solo ad una persona nella mia vita, il mio migliore amico- Si passa una mano tra i capelli, e capisco che si sta sentendo a disagio. Vorrei dirgli che può stare tranquillo, che se lo fa sentire così male raccontarmelo non è costretto.
Ma non posso. Ho troppa voglia di sapere chi è che lo fa preoccupare tanto.
-Sono sempre stato un bimbo allegro e spensierato: i miei genitori erano felici insieme e avevano un sacco di soldi, così non ci mancava niente. Facevamo viaggi, mi compravano giocattoli e loro andavano spesso a cena in ristoranti di lusso-
Mentre parla non mi guarda in faccia. Da quando abbiamo cominciato a parlare della sua infanzia?
-Ed è stato proprio per questo che quando mia madre è andata via di casa senza nemmeno salutare me e mio padre e portando con sé la maggior parte dei nostri soldi, ero distrutto e confuso-
Corruccia il viso, come se fosse schifato dalla storia che sta raccontando. Sento le guance umide, e mi accorgo che sto piangendo. Fantastico.
-Nessun biglietto, nessuna telefonata. Niente di niente- Prende un respiro, e penso stia cercando anche lui di trattenere le lacrime.
-O almeno, non fino al mio diciottesimo compleanno. Lì ha avuto le palle di presentarsi a casa nostra con un pacco in mano, e di cantarmi tanti auguri a te come se ci fossimo visti due ore prima- Sbatte una mano sul tavolo, e sento dei mormorii al tavolo accanto a noi. Forse si sono stupiti della reazione di Nico dato che siamo in un posto pubblico, ma non mi importa.
Gli prendo la mano che ha poggiato sul tavolo e la intreccio alla mia. Non so perché lo sto facendo, ma sento che sia ciò di cui ha bisogno in questo momento: una mano da stringere. Lui alza gli occhi su di me e mi guarda come fossi un oggetto prezioso, e capisco che non riceve vere dimostrazioni d'affetto da molto tempo. Mi scende un'altra lacrima.
Improvvisamente, toglie la mano dalla mia e mi guarda male. -No, non fare così-
Lo guardo confusa. -Così come?-
-Come se provassi pietà per me. Non ho bisogno di essere compatito. Mia madre mi ha abbandonato da piccolo, non ho perso entrambe le gambe- sbotta, e io abbasso lo sguardo.
Perché deve sempre reagire così male?
-Scusa, non volevo farti pensare che io provi pena per te. Sono solo dispiaciuta che...-
-Senti, lascia stare- mi ammonisce con un gesto della mano e si alza, spingendo via il vassoio contenente il suo mezzo cheeseburger, il mio panino ancora integro e le patatine. Menomale che le bevande erano poggiate sul tavolino, altrimenti avrebbe fatto un casino.
Vorrei alzarmi in piedi e urlargli contro che non può comportarsi da stronzo per ogni cosa che gli succede, ma non ci riesco. I muscoli non rispondono al cervello.
Lo seguo con lo sguardo finché non arriva alla porta.
Finché non lo vedo andare via.
Finché non mi lascia sola.
Finché gli occhi non mi si riempiono di lacrime.

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