Capitolo 21

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Apro gli occhi, dopo un sonno senza sogni. Almeno, l'alcol mi ha aiutato a togliermi Nico dalla testa per un po'.
Il problema è che non ricordo molto di quel che è successo prima di svenire, ho solo qualche immagine sfocata.
Io che bevo un po' troppi cocktail.
Io che comincio a ballare.
Io che cado a terra.
Una sagoma che si avvicina a me preoccupata. Andrea.
Scatto a sedere, e mi rendo conto di essere avvolta in una coperta rossa sopra ad un divano. E sarebbe tutto normale, se non fosse che questo divano è giallo mentre il mio è bordeaux. Valeria ha deciso di comprare un altro divano senza dirmi niente?
Sento il rumore di uno scarico, e finalmente alzo lo sguardo. Il salotto è illuminato dall'intensa luce del sole che penetra dalla finestra.
Ma questo non è il salotto del mio appartamento.
Dove cazzo sono?
-Buongiorno, signorina-. Nella stanza entra, con un sorriso scemo in volto, l'ultima persona al mondo che avrei voluto vedere. Nico.
-Che cazzo ci fai qui?- sbotto, senza nemmeno darmi il tempo di mettere a fuoco la situazione. Che cazzo ci faccio io qui?
-Potrei farti la stessa domanda,- mi legge nel pensiero l'odioso ragazzo, dirigendosi verso la macchina del caffè -ma so già la risposta-.
-Beh, io no- rispondo secca, spostando la testa per guardare ciò che mi circonda. Forse lo faccio un po' troppo energicamente, perché la testa comincia a girarmi come una trottola.
Lui ignora la mia domanda implicita e si volta a guardarmi, sorseggiando una tazza di caffè. -Ne vuoi un po'?-
-No, grazie-
Penso sia meglio limitarmi al consumo di acqua finché non mi sarà passata completamente la sbornia.
-Come vuoi- Torna a sorseggiare il suo caffè, e una volta finito butta la tazza nel lavandino e si pulisce la bocca con il dorso della mano.
Molto elegante.
-Che c'è?-
-Nulla. Che ore sono?-
Nico afferra il cellulare dalla tasca destra della tuta nera, e mi riferisce che sono l'una meno un quarto.
Fantastico, Valeria si starà sicuramente preoccupando per me. D'altronde, ho lasciato il mio telefono a casa per evitare ogni cosa che mi riportasse a pensare a Nico.
E, ironia della sorte, adesso sono nel suo salotto. Ma perché sono qui?
Prima che possa domandarglielo, lo stronzo esce dalla stanza e si dirige in camera sua (o almeno credo). Esita sulla soglia della porta, poi si rivolge nuovamente a me.
-Io vado a farmi una doccia. Te resta qui e non fare danni, intesi?-
Annuisco convinta, e lo seguo con lo sguardo finché non lo vedo sparire dalla mia visuale.
Okay, ora chi mi spiega la sua nonchalance nel rivolgermi la parola, dopo tutto ciò che è successo l'altro giorno al Mc?
Io forse ce l'ho una spiegazione. Si chiama bipolarismo!
La domanda mi balena ancora nella testa.
Come. Cazzo. Ci. Sono. Finita. Qui.
Non muovo un muscolo finché non sento l'acqua della doccia scorrere, dopo di che mi alzo dal divano e mi dirigo verso il frigorifero. Sto morendo di sete.
Apro lo sportello e rimango a contemplarlo per qualche istante. Con cosa si nutrerà mai un mostro senza cuore, a parte le anime dei bambini?
Latte scremato. Uova. Un po' di affettati. Parmigiano. Birre.
Tantissime birre.
Afferro la bottiglia d'acqua naturale nello sportello e la bevo facendo attenzione a non attaccarmi con le labbra. Non ho voglia di cercare un bicchiere, ma nemmeno di contaminare la bottiglia con i miei germi.
Anche se è la bottiglia di un coglione.
Finisco di bere e comincio a gironzolare per l'appartamento. Sembra abbastanza piccolo, ma non per questo poco accogliente. Il piccolo ripiano per la cucina è unita al salotto (come nel mio), arredato con il semplice divano beige su cui mi sono svegliata, un tavolino da caffè nero di fronte con due joystick per la Playstation appoggiati sopra, una TV di medie dimensioni incastonata in una libreria piena di videogiochi, CD, film, patatine e snack vari. Tutto tranne che di libri.
Afferro uno dei joystick e comincio a esaminarlo, facendo scorrere le dita tra i pulsanti.
Ricordo che qualche anno fa mio cugino mi insegnò a giocare a Call of Duty e Fifa, e mi tornano in mente i suoi rimproveri di quando mi ritrovavo davanti a un nemico e per l'ansia del momento cominciavo a muovere il tasto del mirino all'impazzata e a sparare nella speranza di colpirlo miracolosamente, finché non venivo uccisa.
Bei tempi, quelli in cui io e Edoardo ci rivolgevamo ancora la parola.
Non so quanto tempo rimango imbambolata a fissare il vuoto, ma improvvisamente vengo risvegliata da un canticchiare. Niente di che, è il solito na na na di quando non si sanno le parole di una canzone che ti è rimasta in testa.
Ma è il miglior na na na che io abbia mai ascoltato.
I miei piedi si muovono da soli verso l'origine del suono, e senza accorgermene mi ritrovo in quella che sembra essere la camera da letto di Nico, davanti alla porta chiusa da cui proviene la sua voce. Credo sia il bagno, dato che Nico mi ha detto che si sarebbe andato a fare una doccia e da qui sento scorrere l'acqua.
Continuo ad ascoltare rapita il suo canto, e comincio a dondolare a tempo. La melodia che sta intonando sembra essere Photograph di Ed Sheeran. Canzone fantastica.
Improvvisamente, l'acqua smette di scorrere e sento aprirsi lo sportello della doccia. Mi prende il panico.
Cosa posso inventarmi per spiegargli perché sono in camera sua? Non posso dirgli che lo stavo ascoltando cantare. Sarebbe troppo imbarazzante.
Faccio la prima cosa sensata che mi viene in mente: apro l'armadio. Sensata per modo di dire.
-Ehi, che ci fai te qui?-
La voce di Nico mi arriva da dietro, ma il suo tono non sembra sorpreso o infastidito come immaginavo. Anzi, sembra quasi compiaciuto da questa situazione.
Pensa Cleo, pensa. Perché mai potresti essere in camera sua a frugare nel suo armadio?
-Stavo cercando qualcosa di più leggero da mettermi. Con questa felpa mi sto sciogliendo-
Brava Cleo, sono fiera di te.
-Quindi adesso, oltre alla felpa, mi vuoi fotte' anche la maglietta? Okay okay- fa un sospiro misto a una risata e viene verso di me, scostandomi leggermente per poter visualizzare meglio il caos nell'armadio. Ci sono jeans rigirati buttati alla rinfusa, magliette di ogni colore e felpe sparse a destra e a sinistra. Sulle stampelle ci sono solo giacche che si vede fin da subito che non sono mai state indossate.
Squadro il ragazzo vicino a me dalla testa ai piedi: i capelli bagnati gli ricadono sulla fronte e gli conferiscono uno sguardo molto più profondo, tiene le mani sui fianchi e i muscoli delle braccia e dell'addome sono definitissimi.
-Sei fortunata che oggi abbia avuto il buon senso di coprirmi con l'asciugamano, di solito esco dalla doccia senza nulla addosso- dice in un sorriso malizioso, spostandosi i capelli umidi dalla fronte.
Ecco il rossore divamparmi sulle guance. Effettivamente, non ho tenuto in considerazione la possibilità di trovarlo senza niente addosso.
O forse sì?
Prima che possa ribattere, mi lancia (nonostante siamo a neanche un metro di distanza) un oggetto blu: una maglietta. È molto semplice, con un piccolo aeroplanino di carta disegnato sopra, ma mi piace molto.
-Tranquilla, non morde mica- commenta lui sarcastico, notando il modo con cui osservo la sua maglia.
Trova sempre il modo di farmi innervosire, 'sto deficiente.
-Ora, a meno che tu non voglia restare a guardare mentre mi vesto, devi uscire. Non vorrei scandalizzarti, principessa-
L'enfasi che mette sull'ultima parola è la goccia che fa traboccare il vaso.
-E adesso che c'è?- mi fa con uno sguardo ingenuo, che non fa altro che farmi incazzare ancora di più.
-C'è che non devi più azzardarti a chiamarmi "principessa". Mai più- concludo, per poi uscire dalla stanza stringendo la maglietta in una mano e sbattendo la porta, giusto per sottolineare il concetto.
Già non lo sopporto quando sta zitto, figuriamoci quando apre bocca e mi prende in giro.
Una volta lontana da lui, mi guardo intorno. Poco più avanti a me c'è una porta bianca.
Non so dove porti, ma ho un enorme bisogno di togliermi questa felpa di dosso.

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