Capitolo 5

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-Hey, bentornata- mi fa Valeria appena varco la soglia della porta del nostro appartamento. -Dove sei stata finora?-
-Non sono affari tuoi- rispondo, e lei si rabbuia un po'.
-Ahh, ho capito! Sei andata a fare colazione con quello lì del telefono, com'è che si chiamava? Qualcosa del tipo Nicola...-
-Ho detto che non sono affari tuoi!- sbotto, per poi andarmene in camera mia.
-E poi si chiama Nico- aggiungo a bassa voce, ma penso che lei mi abbia sentita perché le scappa un risolino.
Mi butto sul letto e prendo il mio cellulare per controllare le notifiche: quattro nuovi follower da Instagram, cinquantasette messaggi da leggere su WhatsApp, due nuove richieste d'amicizia, nove chiamate senza risposta... Nove chiamate senza risposta?!
Per favore fa che non sia... Oh no, erano di mia madre! E se lei e papà fossero già arrivati in città? Con tutta questa storia di Nico e del telefono mi ero completamente dimenticata che sarebbero venuti a farmi visita entro la fine di questa settimana. E se trovano l'appartamento in questo stato... Ora che ci penso: e se fossero andati a cercarmi all'università? Chiederebbero di me in segreteria e scoprirebbero che ho lasciato gli studi mesi fa! Cosa cavolo faccio adesso?
Basta, penso, ora richiamo mia madre. Mi alzo a sedere e la cerco tra i contatti.
Uno squillo.
Due squilli.
Tre squilli.
-Pronto?- risponde la voce all'altro capo del telefono. Mamma.
-Pronto? Mamma, sono Cleo-
-Tesoro mio! Che piacere sentirti! Come mai non hai risposto alle mie chiamate?-
Scusa mamma, ma ieri sera ho accidentalmente scambiato il mio cellulare con quello di uno stronzo egocentrico e l'ho riavuto stamattina dopo una scenata assurda.
-Stavo studiando e non ho sentito il telefono- mento. Ammetto che sono molto brava a mentire.
-Ma brava, amore mio! Studia studia, che un giorno diventerai una chirurga brava come tuo padre!-, poi credo abbia posato una mano sul ricevitore, perché sento la sua voce più ovattata. -Giovanni, c'è nostra figlia al telefono!-
Sento un "arrivo subito" in sottofondo. Ora mio padre mi chiederà come vanno gli studi. Merda.
-Amore! Come stai? Come sta andando l'università?- fa mio padre una volta preso in mano il telefono.
-Tutto molto bene, grazie papà- mento un'altra volta. Alla fine questa è una mezza verità, perché quando studiavo medicina andavo molto bene (ero una delle migliori del corso), il problema è che sono una che si impressiona facilmente, e non avrei potuto prendere in mano gli organi di una persona senza svenire.
-Bravissima, tutta il padre! Ah, già ti vedo con la mascherina e i bisturi in mano!- esclama, e so già che sta gesticolando mentre parla. Lo fa sempre; è una delle cose che ho preso da lui.
Non so cosa rispondere, quindi decido di cambiare argomento: -Come mai mi avete cercata?- dico nel tono più convincente possibile.
-Beh, sapevi che saremmo venuti a trovarti, no?-
Sì, purtroppo lo sapevo.
-E allora volevamo farti una sorpresa e siamo arrivati oggi a Roma, ma non sappiamo dove abiti e così ti abbiamo chiamata- continua poi.
Merda, questa giornata non può andare peggio di così.
-E indovina un po'? Restiamo qualche giorno per visitare la città con te!-
Mi sbagliavo, è andata peggio.
-Pronto? Amore, ci sei?- mi chiede papà notando il mio prolungato silenzio.
-Ehm... sì sì scusa papà, è che la mia coinquilina mi stava chiedendo una cosa... Comunque, ora ti invio un messaggio con l'indirizzo del mio appartamento-
-Perfetto, a tra poco tesoro mio!- mi saluta e io chiudo la telefonata.
Resto qualche secondo a fissare il cellulare. E adesso che faccio? Se vedono il tatuaggio? E se scoprono che ho lasciato l'università? Mi ammazzerebbero.
-Sembra che tu abbia appena visto un fantasma- mi fa Valeria entrando in camera.
-Peggio, molto peggio: stanno venendo a farci visita i miei genitori- dico, e mi ricordo di dover mandare loro l'indirizzo.
-Oh cazzo!- esclama. Valeria conosce tutta la situazione.
-E adesso cosa faccio?- chiedo, più a me stessa che a lei, e mi butto all'indietro disperata.
-Dai, non abbatterti! Ora ci sbrighiamo, mettiamo tutto in ordine e poi cerchiamo uno di quei bracciali lunghi di pelle per coprire il tatuaggio- mi fa, alzandomi per i polsi.
Menomale che ho Valeria con la sua positività, altrimenti non so cosa farei.

Riordiniamo le nostre stanze, spolveriamo il salotto-cucina e laviamo il bagno. Adesso il nostro appartamento non sembra neanche più il nostro. Poi, mentre laviamo i piatti, sentiamo bussare alla porta.
-Saranno sicuramente i miei, vado ad aprire- dico a Valeria e la lascio finire il lavoro. I piatti che non faremo in tempo a lavare li nasconderemo nella dipensa.
Mi fermo davanti alla porta e mi preparo psicologicamente. Sorriso finto: c'è. Falsa gioia di rivederli: a posto. Perfetto, ora posso accoglierli.
Apro la porta con il sorriso più finto che riesco a fare. No, non può essere.
Lo squadro dalla testa ai piedi per assicurarmi che non sia un'allucinazione. E invece no, è proprio lui.
-Che cazzo ci fai qui, Nico?- gli chiedo cercando di contenere la rabbia. Mi sa che non ci riesco molto, perché sento Valeria sussultare dallo spavento.
-Anche a me fa piacere rivederti, micetta- dice in tono sarcastico e mi schiocca un finto bacio sulla guancia. Mi passo la mano sulla faccia.
Mi oltrepassa ed entra senza chiedere il permesso, poi si siede sul divano.
-Com'è carino il vostro appartamento!- esclama, e si capisce che è ironico.
-Alza subito il culo da lì e vattene, stronzo!-. Mi stupisco di me stessa: non avevo mai usato così tante parolacce in una frase sola.
-Tranquilla micetta, sono venuto solo a portarti il tuo saccottino al cioccolato- dice con un tono calmissimo che mi irrita, porgendomi un sacchetto bianco.
-Va bene, grazie, ma ora devi andartene prima che...-
Non faccio in tempo a finire la frase, che vedo i miei genitori con il sorriso in volto sulla soglia della porta. Merda.

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