8. Salvare, salvarsi

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L'indomani, al risveglio, Magnus sentì il suo corpo completamente indolenzito. Aveva dormito rannicchiato sul divano per tutto il tempo, svegliandosi un paio di volte durante la notte solo per cambiare posizione, troppo stanco ed assonnato per alzarsi e raggiungere la sua camera. Sentiva la schiena accartocciata e le braccia intorpidite, per non parlare delle gambe addormentate. Il suo collo doleva e ci volle un po' per riuscire ad alzarsi a sedere.

«Mhhh.» mugugnò stringendo gli occhi, la luce del sole che filtrava bassa dal balcone a investirlo come una coperta fastidiosamente luminosa nonostante fosse ovvio che fosse piuttosto presto. Si strofinò gli occhi ben sapendo che in questo modo avrebbe spalmato i resti del makeup del giorno prima su gran parte del viso. Si mise a sedere coi piedi nudi poggiati sul morbido tappeto ed una mano a massaggiarsi il collo dolorante, mentre l'altra pendeva fra le gambe poggiata sulla coscia dal gomito.

Lentamente iniziò a ricordare gli eventi del giorno precedente e quel profondo senso di confusione e angoscia tornò ad affacciarsi nella sua mente annebbiata. Sospirò pesantemente scuotendo leggermente il capo, cercando testoni sul divano ancora caldo del suo corpo il proprio telefono. Lo trovò dopo poco e lo accese per controllare che ore fossero.

La prima cosa che notò, tuttavia, non furono i numeri che occupavano gran parte della schermata, ma la notifica verdastra di un messaggio, o meglio tre, ricevuto da un contatto sconosciuto. Aggrottò incuriosito le sopracciglia non avendo idea di chi potesse trattarsi. Quando aprì la notifica le labbra si schiusero in una 'o' sorpresa. Non si era sinceramente aspettato che Alec gli scrivesse, soprattutto non così in fretta. Era raro che il ragazzo gli parlasse per primo e quando capitava era semplicemente perché cercava un modo di spezzare un silenzio imbarazzante o per salutarlo quando entrava nel suo ufficio.

Ma in quel momento, in quella situazione... gli aveva spontaneamente scritto per parlare. Magnus fissò la schermata stordito e perplesso. Cosa avrebbe dovuto fare? Poteva sentire la voce di Catarina nella sua testa rimproverarlo ed imporgli di ignorare il messaggio; non le aveva detto che gli aveva lasciato il suo numero privato, era sicuro che se lei l'avesse saputo sarebbe rimasta ancora più sconvolta. Non che non gliel'avesse detto per timore della sua reazione, comunque. Prese a mordicchiarsi l'interno della guancia con fare nervoso leggendo e rileggendo quei messaggi, osservando la foto del gatto beatamente addormentato, cercando di capire cosa fare. Una parte di lui voleva rispondergli per impedire che l'altro si sentisse ignorato o fastidioso; un'altra invece gli diceva che non era questo il modo in cui avrebbe dovuto approcciarsi a lui. Non era per messaggi che doveva riuscire a parlargli: perché non poteva farlo durante le loro sedute? E fu quel pensiero a schiarire improvvisamente la mente del terapeuta. E se proprio tramite quei messaggi avesse potuto accedere ai suoi pensieri ed ai suoi sentimenti? E se l'instaurare un dialogo in quel modo lo avrebbe spinto, col tempo, ad affrontarlo anche di persona durante le loro sedute?

Non era così insolito trovare qualcuno che trovasse più semplice aprirsi tramite uno schermo piuttosto che di persona, era un comportamento assai tipico delle persone più chiuse ed introverse e forse avrebbe potuto essere un ottimo modo per aiutarlo ad uscire dal suo guscio, aiutarlo col tempo ad affrontare gli stessi argomenti anche di persona. L'idea sembrava essere brillante se non fosse che il metterla in pratica avrebbe potuto mettere pericolosamente a rischio l'identità del loro rapporto. Parlarsi per vie 'trasverse' invece che durante le sedute avrebbe potuto offuscare la sua figura di terapista e mostrarlo ai suoi occhi più come un amico e confidente, qualcosa che -come Catarina gli aveva ricordato- non era decisamente professionale.

Un altro sbuffo uscì dalle sue labbra mentre si abbandonava contro lo schienale del divano portando il capo a reclinarsi all'indietro e fissare il soffitto con fare combattuto.

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