15. Lontani

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Non gli erano mai piaciuti i club. La musica era troppo alta e non particolarmente di suo gradimento, non amava bere e soprattutto odiava ballare. Sostanzialmente era lì solo per guardare i suoi amici divertirsi. Quella sera, però, trovò quasi piacevole trovarsi lì.

Sotto le luci stroboscopiche del posto sembrava quasi di trovarsi in un qualche tipo di luogo immaginario ed irreale, fuori dal mondo: tutto era immerso nell'oscurità ad eccezione dei punti in cui i fari mobili facevano ricadere piccole zone di luci colorate. Rosse, verdi, azzurre, bianche, viola. Delineavano i contorni di figure accalcate, di una ringhiera che affiancava una scalinata non troppo larga che conduceva ad un ballatoio non molto affollato. Tavolini e divanetti erano appena visibili nei momenti in cui quelle luci colorate non ne sfioravano la superficie.

Il piccolo gruppo si era seduto su uno di quei divani in pelle e stava chiacchierando animatamente del più e del meno. Isabelle stava mostrando a Clary e Jace alcune foto del piccolo Church dal suo cellulare mentre Alec sorseggiava la sua birra guardandosi attorno. La musica era così alta che poteva sentire le onde sonore colpire fisicamente il proprio corpo. Sentiva la vibrazione delle stesse riverberarsi nelle sue orecchie, nella sua stessa gola. Era quasi nauseante. Ma lo aiutava a non pensare, ad estraniarsi da se stesso. Forse ora iniziava a capire perché la gente scegliesse di andare in quei posti. Quante di quelle figure ammassate laggiù erano alla disperata ricerca di una distrazione? Alla disperata ricerca di un momento di fuga?

«Non dirmi che vuoi andare di sotto a ballare!» esclamò Jace, d'un tratto, dopo aver notato il modo in cui l'amico stava fissando attentamente la folla sottostante.

Alec si riscosse e rivolgendogli un'occhiata di sbieco sbuffò sonoramente con fare sarcastico. «Sì, come no.»

Isabelle osservò il fratello con fare esitante, umettandosi le labbra in maniera nervosa. Non voleva esattamente costringerlo a parlare, ma in qualche modo sentiva che ignorare quello che palesemente stava accadendo all'altro fosse sciocco e magari persino deleterio.

«E allora cosa vorresti fare?» tentò la ragazza sorridendo appena al maggiore. «A noi va bene qualsiasi cosa, purché ti tenga fuori dalla tua stanza»

Era evidente che fosse in difficoltà in quel momento, la prudenza con cui stava cercando di prendersi cura del fratello fingendo di parlare in maniera casuale non passò inosservata agli occhi di Alec. La cosa confondeva ancora di più il suo animo.

In parte era felice di sapere che, a tutti gli effetti, non era solo, che tutte quelle persone erano lì per lui. Al tempo stesso, però, non poteva fare a meno di sentirsi in colpa: tutte quelle persone erano anche in ansia per lui.

Scuotendo leggermente il capo, il ragazzo si limitò a guardare la sorella e parlare sopra la musica assordante del locale.

«Non c'è niente in particolare che vorrei fare» disse sincero rigirandosi la bottiglia fra le dita, sovrappensiero. «Ora come ora mi basta stare qui e bere con voi» ammise abbozzando un sorriso tranquillo.

Era evidente che fosse un modo per non parlare del reale problema che lo stava affliggendo, ma questa risposta era senz'altro un'alternativa migliore al vederlo nuovamente chiuso in camera ad ammuffire sotto le coperte. Per il momento, Isabelle se la fece bastare.

«E allora, beviamo!» esclamò sollevando il suo cocktail con la sua solita verve.

Jace ridacchiò accanto a lei tenendo un braccio attorno alle spalle di Clary. «Ora che ci penso non credo di averlo mai visto ubriaco» disse con uno dei suoi sorrisetti sghembi che non preannunciavano mai niente di buono.

«Nemmeno io» realizzò Isabelle solo in quel momento, voltandosi istantaneamente a guardare il fratello. «Non dirmi che non lo hai mai fatto?!» chiese sconvolta.

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