18. No Way Out

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→ Prima di lasciarvi alla lettura del nuovo capitolo volevo solo approfittare di questo piccolo spazio per ringraziarvi, ancora una volta, del supporto mostrato. Sappiate che non sarei qui a scrivere ancora senza di voi ed il vostro sostegno quindi ricordate sempre che parte di quest'opera appartiene anche a voi. G r a z i e. ♥



«Alexander?» aveva risposto Magnus col cuore in gola, un'improvvisa tensione a calargli sulle spalle.

Il ragazzo aveva passato settimane ad ignorarlo ed evitarlo e persino il giorno precedente, faccia a faccia, era scappato via da lui senza il coraggio di guardarlo in faccia. Il fatto che adesso lo stesse chiamando così all'improvviso lo impensierì: che fosse successo qualcosa?

Catarina, di fronte a lui, sgranò gli occhi al sentire quell'unica parola e schiuse le labbra altrettanto sorpresa.

«No, sono l'agente Derek Smith, polizia di New York.» rispose la voce sconosciuta dall'altro capo del telefono. Un brivido corse lungo la schiena dello psicologo mentre il sangue defluiva rapido dal suo viso pallido.

«P-polizia?» balbettò Magnus, stordito, con la bocca improvvisamente asciutta rivolgendo a Catarina uno sguardo ricco di preoccupazione.

La ragazza si portò una mano alle labbra d'istinto, stupita tanto quanto lui, incapace di dire qualsiasi cosa.

«Sì ma non si preoccupi, non è successo niente di grave.» chiarì subito l'agente strappando un profondo sospiro di sollievo al ragazzo. Il fatto che avesse esordito così lasciava intendere innanzitutto che fosse vivo, in secondo luogo che non fosse -probabilmente- in ospedale e terzo che non fosse stato arrestato. Tuttavia lasciava comunque un sacco di domande nella mente dello psicologo: perché c'era la polizia con lui? Perché -soprattutto- avevano chiamato proprio lui? Era stato Alexander a deciderlo? A chiederglielo? Tutti questi pensieri vorticarono rapidi nella sua mente nel giro d'un istante. «Chiamo per chiederle se può passare alla centrale per prendere il ragazzo, Alexander Lightwood? Al momento non è in condizione di andarsene da solo.»

Le sopracciglia di Magnus si aggrottarono mentre, boccheggiando totalmente impreparato, si alzava dalla sedia con sguardo disorientato. «Uh-certo, arrivo subito. Ma cos'è successo? Sta bene?» chiese preoccupato dalle ultime parole del poliziotto: cosa voleva dire che non poteva andarsene da solo, esattamente?

Catarina, di riflesso, si alzò a sua volta affrettandosi ad estrarre dal proprio portafogli la somma dovuta per il conto. Fermò sotto il porta-tovaglioli una banconota e pochi centesimi recuperando dallo schienale della sedia la sua borsa.

«Sì, sì non si preoccupi, è solo ubriaco

Magnus rimase un attimo in silenzio mentre quelle parole affondavano nella sua mente. Ricordava perfettamente tutte le cose di cui avevano parlato fino a quel momento, soprattutto le cose che il ragazzo gli aveva detto durante le loro sedute: quella volta in cui avevano giocato ad "hai mai...?" Alexander gli aveva detto di non essersi mai ubriacato o, in ogni caso, di non aver mai bevuto abbastanza da andarci anche solo lontanamente vicino. Il fatto che adesso fosse stato chiamato da un agente di polizia perché fosse così sbronzo da non poter tornare a casa in tranquillità lo preoccupava enormemente.

«...Pronto?»

La voce dell'uomo fece riscuotere Magnus dai suoi pensieri portandolo ad annuire istintivamente contro l'apparecchio telefonico, l'altra mano a grattare distrattamente un punto impreciso in mezzo alla fronte.

«Sì, sì, mi scusi.» rispose lo psicologo umettandosi le labbra secche dal freddo, deglutendo nervosamente il groppo fermatosi in gola. «Allora arrivo subito.»

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