La caduta più forte.

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Quella corsa mi aveva lasciato quasi senza fiato.
Erano passati giorni ormai e di Hoseok e Namjoon non vi era nemmeno l'ombra.
Dopo quello che era successo avevo più volte cercato di fare lo stesso percorso ma fu quasi invano visto che mi ritrovavo sul divano col fiato corto nel pensare alla corsa più orribile della mia vita.
Avevo contato i giorni: 14.
Erano ben due settimane, mezzo mese.
Non sapevo quasi come contare per rendere l'attesa più piccola ma ormai i minuti della lancetta dell'orologio scorrevano quasi velocemente mentre i miei rimorsi erano sempre più vivi.
Nonostante fossi un ragazzo con la paura della mia ombra stessa sarei dovuto restare con loro, pensavo.
Ma alla fine mi ritrovavo a dire ad alta voce solo:

" Ma cosa volevi fare? Saresti stato solo d'intralcio e piangente in quella vita che non ti tocca."
Non era un'offesa a me stesso.
Ero solo un ragazzo che spesso andava a fare le passeggiate nel parco per cercare di vedere gli scoiattoli che giocavano tra di loro oppure che restava a casa a suonare il piano nell'intento di cercare una nuova melodia, tutta sua.

Passarono ormai i giorni e la mia mente era sempre meno sana.
Avevo iniziato a scrivere poesie, lettere.
Le cantavo nella speranza di un suo ritorno.
Cosa mi stava prendendo non riuscivo a percepirlo, non capivo il perchè delle mie azioni ma mi veniva quasi naturale. Come quando ogni mattina bevo il mio bicchiere di latte fresco.

Decisi di fare una passeggiata e quindi mi preparai molto velocemente

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Decisi di fare una passeggiata e quindi mi preparai molto velocemente.
Volevo pensare ad altro, dovevo.
Finalmente un giorno incontrai Namjoon per strada.
Lì ricordai una mia poesia che in quel momento avevo scritto sul mio taccuino che tenevo nello zainetto nero.

Nell'attesa
spesso
si avevano momenti piccoli di gioia.

Nonostante il pronunciar del suo nome dalla mia bocca venne pronunciato con felicità, lui non fece altrettanto.
Ed eccolo, il piccolo momento di gioia che viene come un'onda forte e se ne va con altrettanta velocità.
Con una scusa cercò di mandarmi via e il mio corpo rimase inerme.
In quel momento pensai alla cosa peggiore che si potesse pensare: era fuggito, fuggito da me.
Portai entrambe le mie mani nel giubbino nero in cui sembravo davvero piccolo, dato la grandezza di esso.
Nonostante cercassi una riposta, tutto sembrava così lontano da quella sera.
Jin era sparito e ogni giorno non faceva altro che dirmi che era occupato.
I miei piedi avevano iniziato a camminare senza una meta, quasi come se in quel momento dovessero sfogare tutto e sentire il dolore alle ginocchia per cercare di fregare la mia mente ma ciò non andò come previsto.
Un vento improvviso toccò il mio viso facendomi alzare il colletto del giubbino per coprire le mie labbra che da lì a poco sarebbero diventate viola.
Camminai finchè non notai una figura a me nota posta di spalle e con un enorme giubbotto bianco.
I miei occhi si offuscarono e iniziai a correre.
Le mie mani uscirono dalle tasche del giubbino e come se fosse naturale girai il suo braccio per vedere il suo viso.

"HOSEOK."

Nello stesso momento, rimasi pietrificato.
Non era Hoseok, ma Jin.
Il suo viso, mai come quella volta, non era per niente amichevola; si corrugò quasi come se avesse voluto rimproverarmi ma silenziosamente.
Jin, quando non parlava con me era sempre una tortura.
Il suo viso era sempre duro quando non parlava e io, non volendo farmi sgamare da Jin per la mia piccola cotta per il ragazzo dai capelli rossi, non gli avevo detto niente.
Jin solo dopo poco parlò, facendomi ricordare di tutte le volte in cui lui aveva detto che sarebbe rimasto a casa.

Trouble || sope.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora