Il freddo di quel rigido inverno a Gotham, la penetrò fin dentro le ossa non appena uscì dal sudicio palazzo in cui abitava.
Renée odiava quel posto, ma sapeva di non poter aspirare a qualcosa di meglio. Guadagnava appena il giusto per potersi sfamare, non godeva certo del detestabile lusso di cui usufruivano gli agiati di Gotham. Erano pochi, si, ma erano deplorabili. Tutti, a dire il vero, erano spregevoli in quella città baciata dal diavolo.
La giovane ragazza era costretta a lottare, ogni giorno, con le teste calde che girovagavano per quelle strade malfamate. Ci aveva fatto l'abitudine, a dire il vero, ma rimaneva lo stesso un frangente stressante della sua vita quotidiana. Lei che non amava a prescindere stare tra le persone, il tutto accresceva quando le persone erano così incivili. Ma non poteva fare altrimenti, non c'era un'altra strada. Era quello che si ripeteva ogni qualvolta era costretta a stare in mezzo alla folla.
Prese a camminare a passo svelto non appena guardò l'orologio e constatò che per l'ennesima mattina era in ritardo al lavoro. Lavorava ai servizi sociali, fin da piccola sognava fare la differenza, aiutare gli altri. Perchè si era sempre sentita impotente ai rilevanti occhi di quel mondo accusatore.
A volte si chiedeva come fosse possibile che una persona instabile e difficile come lei potesse dare una mano agli altri. Nell'esattezza si occupava di assistere squilibri mentali e disturbi dell'umore, quando, a ben guardare, lei stessa soffriva di distimia.
Per questo motivo aveva fatto fatica a trovare un lavoro, odiava essere riconosciuta come una malattia e non come una persona. Ma i servizi sociali di Gotham City erano l'unico luogo, mediocre, che l'avevano presa. E la verità era che non le dispiaceva nemmeno. Era un qualcosa di proporzionato al contesto in cui era costretta a risiedere.
Salì sul pullman, coperto interamente da graffiti, e fece il biglietto, il più veloce possibile così da non attirare altri sguardi superflui su di sé. Il bus era sovraffollato e Renée fece fatica a trovare un posto per sedersi. Non appena si sedette chiuse gli occhi, sapeva fosse vano ma pensava potesse essere una forma per sfuggire agli occhi estranei.
Quando li riaprì era già toccata la sua fermata. Si alzò frettolosamente e scese, senza prestar attenzione alla calca. Si aggiustò i suoi fluenti ricci castani e prese un lungo respiro, soffriva di una leggera claustrofobia, le mancava il fiato là dentro.
Continuò a camminare a passi svelti sui suoi tacchi color canna da zucchero e giunse a destinazione con tre minuti di ritardo."Alla buon'ora Renée, Myers s'incazzerà di nuovo" disse Brenda seguendo con lo sguardo la ragazza frettolosa, stravolta dal maltempo.
"Lo so, lo so. Sono già frustrata in autonomia, non affannarmi ulteriormente" rispose Renée alzando la voce per farsi sentire dalla sua simpatizzante, dacché si stava spostando nella stanza accanto.
"Meno parole e più fatti" le gridò l'altra dalla parte opposta dell'ufficio.
"Eccomi Sig. Myers, perdoni il mio indugio ma il pullman ha ritardato di nuovo e..."
"Stia in silenzio, per favore" disse l'uomo mettendosi il viso tra le mani e appoggiando gli avambracci sulla sua scrivania. Renée non lo sopportava, quel rozzo individuo che sosteneva fermamente di poter opprimere lei e tutti i dipendenti. Non sopportava il Sig. Myers come la restante parte di persone come lui, la quale era sufficientemente considerevole.
"Se ne torni al suo posto, parleremo più tardi. Ho altro a cui pensare" disse infine dopo qualche attimo d'attesa. Renée annuì, in silenzio uscì dal suo ufficio e, ubbidiente, si ripresentò nel suo collocamento.Non aveva appuntamenti per quella mattina, ma arrivavano spesso persone sperdute e disperate, senza un posto dove andare, e lei era l'incaricata ad occuparsi di loro. Ma, infondo, lei stessa era una di loro. Dentro gli occhi di quegl'infelici esseri umani si riconosceva, vedeva quella stessa desolazione che le aveva pervaso, fin da quando aveva ricordi, ogni singola parte del corpo.
All'improvviso bussarono alla sua porta. "C'è qualcuno per te, qui fuori."
Era l'amichevole voce di Brenda, l'unica persona in quel posto che la trattasse con un minimo di rispetto, ma senza entrare in rimarchevole confidenza. La giovane donna aspettò senza fiatare che Brenda andasse avanti a parlare.
"Dice di chiamarsi Arthur Fleck, sei libera ora?" Renée guardò ugualmente la sua agenda.
"Si, lascialo entrare"
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|𝑰𝒏𝒔𝒊𝒅𝒆 𝒐𝒖𝒓𝒔𝒆𝒍𝒗𝒆𝒔| ~JOKER
FanfictionRenée è una donna piena di complessi, non riesce a vivere la sua realtà quietamente. È costantemente in preda a mille apprensioni, è un animo irrequieto. Fin da piccola aveva avuto quest'angoscia interna, non sapeva da dove venisse né perchè n'era p...