Capitolo 5

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"Sono nata a Parigi, ho vissuto lì la mia intera infanzia. Solo all'alba dei quindici anni mi resi conto di non essere felice lì. Così...eccomi qui."
"E adesso sei felice?" chiese Arthur con trasporto. Voleva sapere tutto su di lei. Renée alzò le spalle, seppure conosceva benissimo la risposta.

"Mio padre era uno stronzo" esordì Renée con voce disfatta. Lui la guardò quasi con stupore, alzando le sopracciglia in attesa che argomentasse la sua affermazione.
"Voleva che fossi come lui, ma non si rendeva conto d'essere un mostro. Ritornava ogni cazzo di sera ubriaco fradicio, e mai una volta in tutta la mia vita lo ricordo lieto nel vedermi" proseguì, a momenti biascicando.
"Lo capisco. Io nemmeno ce l'ho avuto un padre!" commentò lui sferzante. Poi si accese una sigaretta e continuò a contemplare il caotico paesaggio sottostante a loro.

Anche se nell'aria c'era silenzio, tutti e due potevano avvertire il rumore delle loro rispettive turbate anime. Entrambi riconoscevano d'aver avuto un passato contrastante, un presente straziante e un futuro incerto. Arthur interruppe quella quiete.
"Sai" fece un risolino "oggi mi hanno licenziato" disse buttando fuori una boccata di fumo.
"Ma non facevi il comico?" domandò lei perplessa.
"Faccio...facevo il clown da festa" rispose alzando gli occhi al cielo e, questa volta, immettendo veleno sotto forma di fumo dentro sé.

"Perchè?" chiese allora incerta.
"È un segreto" disse buttando il mozzicone e alzandosi in piedi. Poi porse una mano alla sua lei.
"Se prometti di non dirlo te lo faccio vedere." Renée fece segno di chiudersi la bocca, come fosse una cerniera. Poi prese la sua mano e scattò in piedi a sua volta.

Ripercorsero la stessa strada di prima, e una volta che furono fuori dal famigerato vicolo, presero a incedere a passo più fiacco.
"Posso farti una domanda?" chiese Arthur guardandola furtivamente. Lei consentì annuendo.
"Se sei così sbandata, perchè hai deciso di fare la psicoanalista?"
"È una bella domanda...forse perchè vorrei che nessuno stia male come sto io" rispose corrugando la fronte e alzando le spalle. Ci aveva riflettuto in passato, ma mai qualcuno gliel'aveva chiesto faccia a faccia.

"Quei farmaci del cazzo...non servono a niente, lo sai?" disse serio.
"Ehi, sono depressa. Ho vissuto la mia vita al fianco di quei farmaci del cazzo. E, onestamente, ti sembra funzionino?" chiese indicandosi con un gesto della mano, portando quest'ultima dalla testa alle ginocchia. Lui rise.

Dopo altri brevi minuti tra i rumori della metropoli, giunsero a destinazione.
"Eccoci...casa mia" disse Arthur mostrando il palazzo davanti a loro. Renée pensò fosse una copia esatta del suo, solo dalla parte opposta di Gotham. Salirono fino al terzo piano in ascensore. Renée faceva respiri profondi, odiava gli spazi piccoli. Arthur notò che qualcosa non andava, ma non disse nulla.

Arrivati al giusto piano, le porte automatiche si aprirono e, seguito da Renée, uscì dall'ascensore, proseguendo nel corridoio fino alla porta del suo appartamento. Prima di tirare fuori le chiavi si guardò intorno, poi girò il perno nella serratura e spalancò il battente, come fosse un invito per Renée di oltrepassare la soglia. Così fece, accompagnata dal padrone di casa. L'appartamento era piccolo e spoglio, ma era un contesto idoneo alle loro personalità, e perciò, in un qualche modo, agevole. Arthur posò le chiavi sul tavolo della esigua cucina, subito al fianco dell'ingresso.

Non smetteva di fissarla, avrebbe potuto stare lì tutta la notte, ad eccepire ogni suo singolo particolare.
"Beh, che segreto dovevi farmi vedere?" interruppe Renée quell'assenza di rumori, evidentemente a disagio. Arthur abbassò lo sguardo e alzò appena appena l'angolo destro della bocca. Era davvero sicuro di potersi fidare? No, ma forse era lei a non dover confidare troppo in lui.

La oltrepassò, andandosi a sedere sullo sciatto divano al centro dell'alloggio. Poi tastò il tessuto del posto di fianco al suo, come per indicarle di accomodarsi vicino a lui. Lei obbedì e attese che le mostrasse il suo tanto bramato occulto motivo per cui era stato licenziato, quel giorno.
Arthur alzò il cuscino su cui era seduto e tirò fuori una pistola.

"Dove l'hai trovata?" domandò Renée. Per la prima volta da quando era assieme a lui, provava un sentimento vicino al panico.
"Mh, me l'hanno regalata."
"E tu, mentre lavoravi come clown, te la sei portata dietro!" esclamò lei alzandosi in piedi. Non sapeva perchè stava reagendo così, probabilmente l'adrenalina scorreva più voracemente nelle sue vene.
"Se solo sapessi cosa mi hanno fatto affinché dovessi procurarmi una di queste" disse alzandosi a sua volta, continuando a fissare l'arma che stringeva nella sua mano destra.

Renée si sentì improvvisamente stupida e piccola. Si rimproverò per essersi lasciata sopraffare dallo sgomento. Arthur, quando lei s'alzo così d'improvviso, ebbe paura che se ne potesse andare. Sapeva non avrebbe reagito bene, ma sperava che, se fosse stata davvero la donna affine a lui che si era dimostrata, non l'avrebbe lasciato solo. E di fatti fu così. Renée non se ne andò, dacché se così avesse fatto, insieme a lei se ne sarebbe andata anche l'unica sua occasione d'essere completata da un altro essere umano.

|𝑰𝒏𝒔𝒊𝒅𝒆 𝒐𝒖𝒓𝒔𝒆𝒍𝒗𝒆𝒔| ~JOKERDove le storie prendono vita. Scoprilo ora