Capitolo 7

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I giorni passarono più veloci, sicuramente più incalzanti dell'ordinario tempo torpido che s'infilava in ogni concreta estremità della vita di Arthur. Il sole stava ormai calando ponderatamente quando l'uomo s'era ritrovato, senza esserne pienamente consapevole, vagante per le strade della città. Si sentiva più perso che mai, non possedeva più lavoro e presto non avrebbe potuto più permettersi l'alloggio, che non era dei più favorevoli, ma era, nel vero senso della parola, tutto ciò che aveva.

Forse era un bene che se ne fosse andato da quel riprovevole impiego. Hoyt, il suo vecchio capo, era stato un tipo okay per svariato tempo, ma quando arrivò Carter, tutto cambiò. Il livore che quell'uomo si portava dentro era talmente immisurabile che era costretto a scagliarlo sugli altri, in particolar modo sul povero Arthur.

Alcuni giorni prima che lo licenziassero, mentre lavorava come impeccabile clown, il solito gruppo di molesti e odiosi ragazzini che passava giornalmente di fianco a lui, cominciò a prendersi gioco del tristemente allegro pagliaccio. Partirono con degli insulsi giochi beffardi, ma finirono per cadere nel sopruso più disumano.

L'avevano massacrato e pestato di brutali percosse e calci, fino a che la sventurata vittima non finì, bagnata di sangue, col volto per terra, facendo quasi fatica a respirare. La parte peggiore dell'accaduto, però, fu che Carter, non appena Arthur glielo disse, non lo credette e, al contrario, lo rimproverò per esser sempre così negligente, diminuendogli la paga.

Arthur buttò a terra l'ennesima sigaretta consumata e si girò in direzione della via per casa. Passo prostrato dietro l'altro, attraversando i differenti quartieri della città, si ritrovò davanti al Pogo's. Pensò che sarebbe stato bello fare un'altra serata come quella passata. Magari sarebbe potuta venire anche la gentile Renée ad assistere.

Entrò con fermezza e si avviò verso il proprietario del locale. L'aveva conosciuto in precedenza, era un uomo piuttosto buffo, molto basso e tondo. Era stato benevolo con lui la settimana prima, ma quella sera, appena lo vide entrare smise all'istante di fare quel che stava facendo e assunse un'espressione accigliata.

"Arthur, giusto?" disse l'uomo venendo incontro a lui. L'aspirante comico annuì sicuro.
"Ecco, vedi Arthur..." continuò oramai di fronte a lui.
"...forse è meglio se eviti di girovagare da queste parti..." disse con tono dissimulatore, posandogli una mano sulla spalla e accompagnandolo sulla soglia.

"Che...che significa?" chiese Arthur fermandosi appena prima di oltrepassare l'uscita. L'uomo lo guardò scoraggiato, nel suo volto si leggeva limpidamente la pena unita alla denigrazione che provava per l'individuo travagliato di fronte a lui. Si grattò il mento prima di parlare.

"Sai, dopo il tuo numero...le persone sono venute da me a strepitare perché volevano il rimborso. Ho perso frequentatori oramai abituali!" disse alzando lievemente la voce, già del tutto irritata. Arthur fu colto da una tempestiva pulsione di sofferenza e, nel contempo, di risentimento e impeto.

Lasciò cadere di peso la testa, rivolgendo lo sguardo al terreno. Accennò un sorriso pensando a quanto fosse ironica la sua vita.
"Alcuni ne sono rimasti sbigottiti e diversi uomini, con cui è meglio non scherzare, mi hanno minacciato che se ti avessi fatto salire sul palco un'altra volta...beh capisci cosa mi potrebbe succedere!" proseguì il proprietario, guardandosi continuamente intorno sperando di non ritrovarsi, da un momento all'altro, quella banda di scellerati.

Era il millesimo caso in cui una persona l'aveva emarginato a causa del suo squilibrio. Nonostante tutto continuava a domandarsi come fosse possibile che le persone, in quella infernale Gotham, potessero essere così ripugnanti. Si chiedeva costantemente, ogni secondo della sua grigia vita, se mai qualcosa sarebbe cambiato. Il peggio era che si sentiva pienamente cosciente del fatto che niente, in alcun modo, si sarebbe aggiustato.

Sollevò il volto, oltremisura lentamente, e lo fissò dritto nei suoi occhi meschini. E, una volta ancora, si riaffacciò quell'agghiacciante risata. Questa volta, però, Arthur dentro se stesso era consapevole del fatto che fosse quasi intenzionata. Non aveva desiderio di fermarsi, perchè lo trovava terribilmente spassoso!
"Se non la finisci ti sbatto a calci fuori di qui!" disse l'uomo furente.

Arthur smise per qualche secondo, ma guardando sputare veleno la persona dinanzi a lui, scoppiò ancora in riso.
"Io...io..." voleva dire qualcosa ma nemmeno lui apprendeva cosa. Si arrese e si soggiogò al fosco suono della propria risata.
"Ti fa tanto ridere, eh? Maniaco!" Sferrò un accanito pugno sulla sua mandibola, spingendolo al di fuori del suo locale. Chiuse la porta con furore voltandosi immediatamente di spalle, non avrebbe voluto mai più vedere il suo volto. Tornò a fare quel che faceva prima d'esser stato interrotto da quello che lui considerava un marcio pazzoide e nulla più.

Arthur toccò adagio il punto d'incontro tra le ferrigne nocche di quel vomitevole uomo, e il suo viso. Guardò la punta di sangue che residuava sulle sue dita e, per concludere il divertente teatrino, fece l'ultimo sorrisetto.

|𝑰𝒏𝒔𝒊𝒅𝒆 𝒐𝒖𝒓𝒔𝒆𝒍𝒗𝒆𝒔| ~JOKERDove le storie prendono vita. Scoprilo ora