Capitolo 14

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Non poteva fargliene una colpa se la docile donna non era in grado di raccontar frottole. Aveva cercato di proteggerlo e mai sarebbe potuto esserle più grato. Il detective Miller continuò a fare domande a cui Arthur riuscì perfettamente a rispondere evitando e svincolando l'autenticità dei fatti. L'agente se ne andò visibilmente insoddisfatto, non era finita lì, lo sapevano entrambi. Ma Arthur sapeva che, prima di quanto chiunque potesse pensare, avrebbe smesso di nascondersi e avrebbe fatto capire a tutta Gotham chi era per davvero.

L'indomani l'uomo si diresse verso i servizi sociali. Il tempo per vagare in libertà per le strade di Gotham stava per scadere. Presto avrebbe dovuto far qualcosa. Renée aveva la necessità di esserne a conoscenza, il prima possibile. Aprì la porta del suo ufficio, totalmente convinto che a quell'ora non avesse alcun paziente. Non si sbagliava. La donna si trovava seduta, con i piedi comodamente posati sulla scrivania, intenta a leggere un libro. Lo posò immediatamente non appena quella forza complice si fiondò con la massima fermezza in quella stanza, rovinando la quiete e portando gaudio.

Si alzò in piedi e non fece in tempo ad aprir bocca che le labbra dell'uomo erano contro le sue.
"Arthur...ci sentiranno" mormorò lei mugugnando.
"In tal caso daremo un bello spettacolo" rispose sorridendo. E proprio mentre finì di darle l'ultimo bacio, qualcuno bussò.
"Renée Dumont, nel mio ufficio!" Era Myers. Arthur si staccò da lei e la guardò preoccupata.
"È il mio capo, è una canaglia ma me la son sempre cavata" lo rassicurò lei, riallacciandosi frettolosamente gli ultimi bottoni della sua camicetta bianco panna.

"Non avevo dubbi" commentò Arthur con un fil di voce, sedendosi dove poco prima era adagiata lei. Lei lo guardò per qualche secondo con aria confusa, in cerca di spiegazioni.
"Ero sicuro che te l'eri sempre cavata."
L'espressione di Renée tramutò in una più compiaciuta. Non le faceva mai grandi complimenti, ma quando pronunciava lusinghe le tremavano sempre un po' le gambe. Si avviò per l'uscita e, poco prima che chiudesse la porta, Arthur la fermò.
"Renée!" Si girò verso lui. Quest'ultimo assunse il solito ghigno che possedeva quando qualche pensiero indefinibile passava per la sua testa.
"Si?" disse lei aspettando.
"Niente..." rispose lui, mettendosi a ridere piano.

"Alla buon ora, Renée" l'accolse Myers non appena entrò. Lei si sedette di fronte a lui, attendendo il peggio.
"Ho saputo che qualche giorno fa te ne sei andata prima del doveroso" prese a parlare distrattamente.
"È perchè era arrivato il detective Miller eh, sa, avevo bisogno di riposare. Soffro d'attacchi di panico e..."
"Non mi interessa" lo interruppe bruscamente. Renée guardava ovunque tranne che nei suoi occhi. Avrebbe tanto voluto che Arthur fosse lì con lei, magari anche con dietro la pistola.

"A proposito del detective...questa faccenda non mi piace" disse storcendo il naso. Se solo sapesse quanto non piacesse alla donna, invece.
"Quell'Arthur Fleck. Se ne parla tanto in giro. Credo proprio che lei non possa più occuparsene. Porta solo guai, è un farabutto" esclamò con superiorità. Chi diavolo pensava di essere?
"Io non credo. Si guardi bene dal giudicare gli altri, sig. Myers" rispose lei in tono di sfida. Per l'ennesima volta era stanca dei pregiudizi e delle persone che li sostenevano.

"Oh dolcezza, sei innamorata, non è così?" chiese provocandola. Si allungò verso di lei, la fissò per diversi secondi, come per esaminarla, poi ritorno dov'era prima.
"Già sei proprio matta per lui. Ti dirò una cosa, adesso" disse mentre Renée, seccata dal sentir sempre le stesse cose, girò il viso verso la piccola finestra che dava sulla facciata di un altro palazzo. Era certo più interessante che stare ad ascoltare un asino.
"Stammi a sentire!" sbottò lui. Lei lo guardo solo per farlo smettere di sbraitare. Era una fanatica della calma.

"Gente come quel Fleck, e come tutti i criminali di questa città, sono in cerca di una preda, come lei, da poter soggiogare e depredare facendole credere di potersi fidare. Poi, quando meno te lo aspetti, ti abbandonano, lasciandoti senza niente e spesso in una situazione del cazzo. Perché sprecare tanto tempo dietro persone come lui, eh? Pensavo fosse più intelligente, sig.na Dumont." Renée era imperterrita. Non voleva scappare, voleva fargliela pagare.
"Io invece ho sempre pensato che lei fosse un idiota" disse tenendo a bada la rabbia. Avrebbe voluto controbattere ogni singola parola pronunciata da lui, ma non ce n'era il tempo necessario.

"Come si permette?!" esclamò Myers indignato, seppur, infondo, amareggiato.
"Se non la smette subito con questi giochetti effimeri, la licenzio!" Renée rimase in silenzio. Cosa poteva dire?
"Mi ha sentita? Se rivedo anche solo una volta quell'uomo nel mio ufficio, lei è fuori!"
"Le dispiacerà sapere dunque che si trova proprio qui, ora." Myers sospirò spazientito.
"Lo mandi via" disse deciso, ma esasperato.
"D'accordo, ma vado con lui." Renée si alzò risoluta e se ne andò.

"Arthur, andiamo a casa tua" disse ad alta voce, spalancando senza ritegno la porta del luogo dove non avrebbe mai più dovuto mettere piede. Lui non fece domande, la seguì soltanto. Stettero in silenzio finché non arrivarono a casa di lui.
"Che è successo?" chiese lui mostrando il minimo interesse. Era seduto al suo solito posto, sul divano.
"Mi ha licenziata." Attese per qualche momento e poi proseguì.
"Per colpa tua" dichiarò chiudendo gli occhi e portando le braccia conserte. Non mostrava, sul viso, alcun segno di stizza. Di fatti non era arrabbiata. Non provava nulla, solo la solita infelicità. 

Arthur rise. In quelle risate Renée coglieva sempre ogni sfumatura, ogni emozione. Ora c'era qualcosa a lei sconosciuto. Intuì che potesse trattarsi di una nuance con lo scopo di prenderla in giro. Lei aprì gli occhi e lo guardò, poi si sistemò la stretta gonna nera.
"Per quale scopo mi stai usando?" chiese lei all'improvviso, ripensando alle parole di Myers. Non poteva immaginare che, in un qualche modo, la avrebbero potuta condizionare sul serio. Lui smise di colpo, sebbene rimase sul suo volto una traccia di quell'incolpante risata. Sul suo viso, incollato un sarcastico sorriso. Passò la lingua sulle labbra prima di aprir bocca.

"Sei una svitata, Renée. È per questo che mi tenti. Te l'ho mai detto perchè mi piaci?" domandò alzandosi in piedi e dirigendosi, a passi lenti e provocanti, verso la donna. Arrivò di fronte a lei e le posò due dita sotto al mento, facendole alzare il volto. Era poco più bassa di lui e in quella posizione, a grosso modo, i loro sguardi erano alla stessa altezza. Lei deglutì. Fece di no con la testa, irresoluta.

"Perché sei matta! Matta matta matta. Come me!" affermò sfoggiando un sorriso a trentadue denti. Alla donna cadde l'occhio su quel qualcosa che mai avrebbe desiderato di vedere. Arthur impugnava la sua pistola. Lui respirava estremamente piano, lei aveva il fiato sospeso. E per la prima volta da quando si conoscevano, Renée provò paura.

|𝑰𝒏𝒔𝒊𝒅𝒆 𝒐𝒖𝒓𝒔𝒆𝒍𝒗𝒆𝒔| ~JOKERDove le storie prendono vita. Scoprilo ora