Capitolo 8

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Guardava infondo ma non vedeva nulla. Solo uno strano senso di soddisfazione vibrava sotto la sua pelle. Quell'euforia, che felicità non era, poteva forse colmare quella vita di delusioni. Poco prima, un frastornante rimbombo sordo che ancora riecheggiava nella sua testa.  Dopo, solo il buio.

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Arthur, una volta tornato da quello spiacevole avvenimento al Pogo, aveva passato i restanti giorni sbarrato in casa, l'aria chiusa di quello sporco appartamento lo stavano oramai asfissiando.
Renée aveva già smesso di aspettarlo nel suo ufficio, non s'era più presentato da quell'ultima volta risalente ad una settimana fa. La domanda imperterrita che continuava a farsi era il perchè di questa azzardata scelta. Era forse colpa sua?

Oppure avrebbe dovuto dar retta ad una delle sue tante voci che continuava a suggerirle di doversi preoccupare per lui. La sua innocenza e il suo essere sistematicamente ignara del pericolo la portò a prendere la più avventata delle decisioni. Dopo quel giorno di stancante lavoro, s'incamminò verso l'appartamento di Arthur.

Ricordava esattamente ogni singolo passo da fare per arrivare al suo palazzo. Le era capitato, mentre era immersa nel vuoto dei suoi insensati pensieri, di ripercorrere a mente quella strada, immaginando di tornarci. Quel capriccioso sognò si trasformò così d'improvviso in realtà. Quando varcò la soglia dell'edificio ogni cosa le franò addosso.

Capí che quella non era la cosa più giusta, che se Arthur avrebbe deciso di non voler più vederla, lei avrebbe dovuto accettare, tollerando tacitamente. Ma fu in quel momento che comprese di volerlo fare ugualmente, che queste condizioni non le avrebbero impedito di guardare il suo volto affranto ancora una volta, e che avrebbe preferito, piuttosto che arrendersi, sentirsi dire da lui in persona la vera situazione in cui si trovava. Ma non immaginava cosa, con esattezza, passasse per la perversa mente di Arthur.

Si prese qualche secondo prima di bussare. Appoggiò un orecchio sulla porta e udì, imprevedibilmente, della musica. Sorrise inconsciamente e decise di buttarsi, per evitare di far trascorrere ulteriore tempo, utile per pensare di andarsene via.
La musica si fermò.

Aprì la porta e il viso che Arthur si ritrovò davanti era quello per cui meno era preparato, ma al contempo che, nel fondo del suo infranto cuore, desiderava vedere e sapeva avrebbe visto. Non era una contraddizione, quanto più la confusione che regnava nel suo cervello. Volle nascondere la sorpresa nel vederla, voleva farle intendere che se l'aspettava, anche se dall'altra parte sapeva che non le sarebbe sfuggito niente.

Si fece da parte per farle spazio e, una volta entrata, richiuse la porta dietro a lei. L'ospite si guardò in torno per poco, finché i suoi occhi non si posarono su quelli di lui.
"Che fine hai fatto?"domandò Renée provando a non attaccarlo subito duramente, seppur avesse molte cose, plausibilmente di cattivo gusto, da fargli presente. Lo disse quasi con scoraggiamento, in un sospiro di debolezza, portandosi una mano sul fianco. Lui alzò le spalle e tornò seduto davanti allo specchio di fianco al divano, dov'era prima che venisse interrotto.

Era un piccolo specchio, sul fianco basso a destra persino crepato. Si reggeva su di un minuto tavolino in legno, dov'erano appoggiati centinaia di arnesi, parevano cosmetici da carnevale, rendendolo gravemente caotico. Arthur sedeva su una vacillante esile sedia legnosa. Prese un pennello, simile ad uno di quelli per dipingere, e lo immerse in una esigua scatolina, dal contenuto niveo. Dopo di che applicò quella sostanza bianca sulla sua guancia, osservando attentamente il proprio riflesso.

"Aspettati sempre dei guai" disse lui continuando a cospargersi il viso di trucco bianco. Lei si sedette sul divano, stanca d'attendere i suoi comodi, e rilassò i muscoli del collo, abbandonando la testa indietro.
"Io aspettavo te. Ma non sei arrivato" rispose lei, e nel suo tono si sentiva chiaramente quella nota di rammarico e, allo stesso modo, di rancore.

Arthur si fermò per qualche istante, senza levare gli occhi dal suo volto nello specchio. Poi riprese, con dei raffinati movimenti della mano, a stendere il composto latteo.
"Hai già trovato un altro lavoro?" chiese allora Renée, sperando che almeno a questa domanda avrebbe risposto. Lui scosse la testa delineando un sorriso.
"E allora per cos'è il trucco? E i capelli...verdi?" domandò calcando di sconcerto l'ultima parola e realizzando solamente ora della nuova tinta della sua chioma.

"Okay, ho capito" disse lei alzandosi in piedi, ormai lassa dei suoi giochetti effimeri. Non aveva capito, no, si disse Arthur. Prima di uscire si girò verso lui, sperando una qualche reazione differente da quel straziante distacco. Lui non fece nulla. Era per questo, dunque, che non la salutò? Non le disse "ciao" per esser sicuro di non doverle dire addio.

La sua apparenza era divenuta una revisione evoluta del vecchio trucco e costume che doveva indossare per il suo retrivo lavoro da clown. Una maschera bianca pura faceva da sfondo ad una bocca rossa generosamente sorridente. Il verde delle sue iridi contrastava col blu dei disegni triangolari, tracciati al di sopra e in basso dei bulbi oculari. La punta del naso era tinteggiata del medesimo colore delle labbra. Vestiva uno sgargiante completo rosso e, per ultimare il tutto in armonia, i suoi imbrattati capelli increspati brillavano di verde.

Scese in strada, noncurante delle strane occhiatacce della gente. Non aveva un obbiettivo meticoloso, ma sapeva dov'era diretto. S'accese una sigaretta, ebbe l'impressione che tutto ciò che si trovava al di fuori di lui si fosse interrotto, e sorrise d'istintività. Nella sua desolata mente, ora, unicamente il caos.
Tutto scorreva come la pellicola di un tragico film, e quello che più era lacrimevole era che sapeva non fosse un film, che quella era la sua rovinosa vita.

Si ritrovò a pensare ancora una volta a tutto ciò che la società gli aveva fatto di male. Provava, abitualmente, un solenne senso di collera e del così immenso dolore. Ora avrebbe riso soltanto.
Poi ripensò a quel terribile segreto. Non aveva con chi confidarsi prima, ma l'arrivo di Renée fece di quell'accaduto un increscioso segreto a tutti gli effetti.

Concretamente mai nulla più di quello, più di qualsiasi sua parola non pronunciata e che le si leggeva chiaramente negli occhi, gli causò sofferenza: vederla andare via. Nonostante sapesse benissimo che sarebbe tornata. Il problema stava nello scoprire se dopo che avesse capito chi fosse realmente Arthur Fleck, sarebbe restata al suo fianco. Pensò questo e, senza quasi accorgersene, sopraggiunse alla sua metà. Nessuna preoccupazione scorse più nella sua testa. Passo dietro l'altro era arrivato finalmente al Pogo. 

|𝑰𝒏𝒔𝒊𝒅𝒆 𝒐𝒖𝒓𝒔𝒆𝒍𝒗𝒆𝒔| ~JOKERDove le storie prendono vita. Scoprilo ora