Capitolo 2

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"...mi è sorta spontanea questa domanda: esiste o esisterà mai un modo? Insomma, sono costretto e confinato a vivere dentro questa soffocante realtà?" chiese chiudendo il suo intricato e oscuro soliloquio.

Arthur alzò lo sguardo sul viso di Renèe. Fino ad ora aveva tenuto gli occhi semichiusi e la vista bassa, ripeteva le stesse parole che il suo turbato cervello gli suggeriva, senza censure.

La sua terapista, la sig.ra Johnson, si era licenziata diverse settimane fa. Lui aveva provato ad andare avanti senza una cura, ma da ultimo s'era reso conto che non poteva farne a meno. Non credeva gli potesse esser utile, ma doveva parlare con qualcuno. Così, quell'invernale mattina di Gennaio, aveva raccolto i suoi ultimi malandati pensieri e s'era recato nuovamente ai servizi sociali, sperando di trovare qualcuno disposto a seguire le sue dissertazioni.

Renée rimase impressionata dall'uso delle sue parole e dalla sua cupa voce. Non si aspettava certo di trovare un paziente così articolato ed enigmatico. Pensava più ad un altro caso d'uomo avvilito e nulla più.

Lo guardò dentro i suoi infossati occhi verdi, fino a trovare il fondo abissale della sua psiche. Non le era mai capitato prima di rimanere senza parole così a lungo e di fissare così intensamente gli occhi di un uomo.

"Mai niente cambierà di sua spontanea intenzione. Il mondo, il nostro mondo, è quello che, malauguratamente, è. Il problema non è saper come scappare da questa vita. Il problema è saperla cambiare affinché non vogliamo più andarcene."

Arthur, mentre la ragazza parlava, non le tolse gli occhi di dosso per nemmeno un istante. Osservava attentamente ogni singolo movimento della sua bocca sottile che oscillava dal basso all'alto man mano che divulgava le sue percezioni.

"Lei mi sta davvero dicendo che è possibile cambiare la mia vita?" disse ironicamente. Attese qualche secondo e poi scoppio in riso. Ma non una risata comune, era una risata spiacevole e bruciante, più simile ad un pianto.

Arthur cercava invano di reprimerla, ma l'amara sghignazzata terminò solo dopo altri trenta secondi. Una volta calmatosi diede un foglietto, simile ad un biglietto da visita, nelle esili mani di lei. Quest'ultima lo lesse velocemente.
Subito dopo riportò gli occhi su di lui e, con aria impassibile, glielo restituì.

"Perché non mi ha detto subito di questo suo disturbo?" chiese lei costernata.
"Perché non lo credevo rilevante"
"Infatti, non lo è. Non c'entra nulla con quello di cui parlavamo poco fa. È solo..." si fermò qualche attimo.
"...insolito" riprese dopo aver preso un lungo respiro.
"Non mi era mai capitato durante la mia carriera" continuò poi.

Lei lo guardava quasi con cinismo, era pressoché curiosa. Lui la guardava attendendo una qualche reazione da parte sua, differente da quella inconsueta risposta che aveva appena ricevuto. Mai nessuno l'aveva guardato con meraviglia, anziché disprezzo, dopo uno dei suoi attacchi.

"Si, sono sicura che la sua vita possa cambiare. All'opposto, ne sono convinta" continuò poi Renée, quasi fingendo che non fosse accaduto nulla.
"Come?" domandò allora lui, quasi impaziente. Forse perchè lo considerava estremamente improbabile.

"Con un po' di eroismo e d'indulgenza"
Questa volta fu Renée a fare un risolino. Arthur rimase sul momento sorpreso dal come lei sogghignava delle sue stesse parole, ma poi sorrise riuscendo a percepire l'ironia che si celava sotto la sua affermazione.
"Mi ascolti bene, non mi sarebbe concesso farlo, sa...delle idiote neo-strutture terapeutiche" riprese Renée sussurrando, seppure era a conoscenza del fatto che nessuno potesse sentirli, e avvicinando il viso a quello del paziente.
"Eppure io per prima faccio fatica a credere in quello che dico" disse tornando ad appoggiarsi sullo schienale della sua scomoda sedia, con lo stesso mezzo sorriso beffardo che indossava prima.

Arthur la guardò all'inizio sospettoso, ma poi compiaciuto. Pensò che finalmente qualcuno la pensava come lui, e mai fu più capito di allora.
"Per cui fino ad ora mi hanno mentito sempre tutti" esordì lui ripensando alla sua vecchia terapista.

"Certo, e non mi venga a dire che non l'aveva inteso prima. Le persone la prenderanno sempre in giro, seguendo i sistemi che più fanno comodo a loro. Ma lei non è stupido, o sbaglio?"
Arthur rise leggermente.
"Non si sbaglia, no."
Lei non rispose più, così lui non tardò a colmare il silenzio che si era creato tra loro.
"Faccio il comico, sa? Dovrebbe venire a vedermi, una sera."
Era l'ultima cosa al mondo che Renée si aspettasse che dicesse. Ci rifletté alcuni istanti, ma poi ripensò a quanto fossero simili e a quanto potesse farle bene, ma oggettivamente più male, frequentare Arthur.

Non sapeva chi fosse realmente, ma dentro la sua tragica risata e nell'immenso dei suoi tormentati occhi acerbi, aveva riconosciuto una sensazione che a lei pareva molto vicina. Era quella stessa sensazione di malessere e confusione che la notte la faceva star sveglia. Avrebbe voluto scaricare la colpa della sua angoscia sulla sua malattia, ma nel profondo sapeva che era la sua vera essenza ad esser malata. E, infondo, comprendeva che anche Arthur, come lei, era dominato da questo sentimento.

|𝑰𝒏𝒔𝒊𝒅𝒆 𝒐𝒖𝒓𝒔𝒆𝒍𝒗𝒆𝒔| ~JOKERDove le storie prendono vita. Scoprilo ora