Capitolo 15

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"Perché...perché vuoi farmi questo?" chiese Renée ormai non più spaventata, il suo respiro convulso ora si stava placando. La paura stava oramai diventando sua amica. Si sentiva, però, profondamente tradita.
"Io non ho fatto niente di niente" rispose lui scuotendo la testa e sorridendo. Mise via l'arma, dentro la tasca interna della sua giacca sgualcita, rendendosi conto solo ora di avercela stretta tra le dita. Pensò fosse semplicemente la forza dell'abitudine, arrivò solamente ora a capire che Renée potesse esser impaurita da quella. Fece alcuni passi indietro per poter guardare dalla testa ai piedi la splendida donna che si ritrovava davanti.

"C'è tensione tra...noi due, ultimamente. È successo qualcosa?" domandò Arthur come mostrando d'essere tornato all'improvviso sobrio e come se prima fosse brillo di follia.
Lei rise sarcasticamente.
"È successo che hai ammazzato due persone e tra poco ti butteranno al fresco, Arthur!"
"Oh Renée, te l'ho mai detto che sei proprio irresistibile quando t'arrabbi?" esordì lui, sviando pienamente l'esclamazione di lei.
"Sembra che non te ne importi un cazzo di finire in galera. Marcirai là dentro fino alla fine dei tuoi giorni perchè, evidentemente, non ti frega nemmeno più di me" disse per poi mordersi il labbro, in modo tale da trattenere le lacrime.

Pensò che ora, come mai prima, era davvero tanto vicina dal perderlo. Non riusciva nemmeno ad immaginare una vita senza di lui. Se infondo era riuscita a sopravvivere tutto questo tempo senza nessuno, adesso che lui le aveva insegnato a vivere non sarebbe più potuta tornare indietro. Il danno era fatto, le aveva fatto assaggiare la libertà, l'aveva capita e, quando se ne sarebbe dovuto andare, più nessuno l'avrebbe fatto.
"Io non voglio fare questa fine, mia dolce Renée" sussurrò lui. Si avvicinò a lei e le mise il palmo su di una guancia. Lei alzò gli occhi pieni di dolore e si insinuò nei suoi.

"Cosa vuoi dimostrare?" chiese lei piano e in tono svilente, come di sfida.
"Voglio dimostrare di essere meglio di come per tutto questo tempo mi ha fatto credere di essere. Voglio fargli capire che a tutto c'è una conseguenza, che è solo colpa di lui se sono diventato il suo vendicatore."
"Ma...di chi?" domandò lei sempre più confusa.
"Del mondo, voglio cambiare il mondo, Renée" rispose deciso.
Lei si mosse all'improvviso, estremamente veloce e prese il viso di lui tra le sue mani.

"Ti assicuro che sarò sempre dalla tua parte. Soltanto una persona malata come me potrebbe stare al fianco di un malato come te. Io lo so cosa provi. Io so quante volte avresti voluto rispondere alle ingiustizie che ti sono state castigate. Io so che sei innocente, e che i colpevoli sono coloro che ti hanno spinto a fare ciò che hai fatto. Io so quanto cazzo è magnifica quell'euforia che percepisci quando premi il grilletto..." Fece una pausa per far smettere di tremare la sua voce. Era da tempo che voleva trasformare in parole, dirette unicamente a lui, quei suoi insistenti pensieri.

"...ma o mi dici cosa accidenti ti passa per quella testa del cazzo o giuro che ti denuncio!" Gli tolse le mani di dosso e restò ferma finché lui non parlò.
"Non lo faresti mai" disse lui sorridendo. Lo sapevano entrambi, infondo. Si passò una mano sul mento e poi proseguì.
"Te l'ho detto che ho un piano? O meglio, ho individuato il mio prossimo obbiettivo. Non voglio esser vincolato da delle stupide regole, seppur imposte da me stesso. Per cui no, non lo definirei un piano. Ho solo...un'idea che vaga per il mio cervello, capisci?" disse gesticolando con la mano in modo esibizionistico.

Lei annuì, sperando che potesse arrivare il più presto possibile al punto. Dopo qualche altro giro di parole, riuscì a sputare il rospo. Il suo bersaglio era l'organizzazione criminale di De Rosa. Si diceva che di giorno facessero i broker alla Stock Market Organisation (S.M.O), mentre di notte si trasformavano in delinquenti, senza tener conto del fatto che, se fosse così vero come si raccontava, anche quelle canaglie di Wall Street erano dei malviventi. Joe De Rosa era un riprovevole uomo, un macchiato Italoamericano. Mise piede a Gotham per la prima volta nel '72, e da quel giorno la nota città non conobbe alcun altro criminale degno di lui. E adesso Arthur confabulava a riguardo di come sarebbe riuscito a prendere il possesso di quella colossale brigata mafiosa.

Renée, quel giorno, ebbe la definitiva conferma dell'instabilità mentale di quell'uomo. All'inizio si fece due risate, ma quando capì che le sue intenzioni erano serie e inspiegabilmente ben predisposte, cambiò opinione. Rifletté sul fatto che oramai Gotham era finita nelle mani di chi di sbagliato principio era consapevole compiesse. Era dunque una buona idea, quella di Arthur, ma Renée non riusciva comunque a spiegarsi come questo avrebbe potuto tenerlo lontano dai guai, nonché dalla polizia.

"Se capiscono chi sono, mi lasceranno in pace" appurò lui.
"Può darsi di sì, come di no. Non possiamo saperlo, è un rischio, io..."
Venne interrotta dalle sue ruvide mani strette attorno ai suoi fianchi. Renée rabbrividì.
"Nulla è certo in questa vita."
"Quello che so io, Arthur, è che la vita non è come uno stupido film poliziesco" disse lei con voce rotta, distratta dalle sue calde mani a contatto col suo corpo.
"La vita è ciò che tu decidi di farne" rispose banalmente, e poi posò avidamente la sua bocca sul collo dell'attraente donna.

|𝑰𝒏𝒔𝒊𝒅𝒆 𝒐𝒖𝒓𝒔𝒆𝒍𝒗𝒆𝒔| ~JOKERDove le storie prendono vita. Scoprilo ora