Capitolo 3

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Arthur, finita la sua inconsueta chiacchierata con Renée, uscì dalla piccola e malridotta struttura e si diresse verso casa. Era suo solito camminare a testa bassa e a passi grandemente lenti. Per lui ogni singolo momento in quel mondo pieno d'orrore era sinonimo di affliggimento.

Salì con prostrazione per la lunga scalinata che divideva la strada trafficata dal palazzo in cui abitava. Mentre procedeva adagio, istantaneamente, gli venne in mente l'angelico viso di Renée e, subito dopo, pensò a come fosse possibile che una persona integra come lei avesse accettato, quasi con entusiasmo, di vedersi con lui. Scacciò la fulminea idea che l'avesse soltanto immaginato e riprese la sua marcia verso casa.

Renée, per tutto il restante tempo della giornata, non riuscì a pensare ad altro che a quel piacevole appuntamento con Arthur. Ogni qualvolta che Brenda entrava nel suo ufficio per controllare se stesse bene, la ritrovava distratta, con lo sguardo perso nel vuoto. Vaneggiava nella sua testa su come, chissà, sarebbe potuto esser stato il loro prossimo incontro.

Finito il turno, rifece lo stesso viaggio che percorse all'andata per tornare a casa. Dovette affrontare nuovamente la trepidazione di salire sul pullman, e mentre era sopra quel mezzo rivoltato e gremito di persone, pensò a quanto la sua vita fosse scialba e fosse un noioso susseguirsi di idee già pensate e di parole mai ostentate. Nonché di un ripetersi angosciante di azioni comuni, quali era obbligata dalla società a svolgere senza querelare.

Spalancò la porta di casa sua e si buttò immediatamente sul turpe divano, annientata dall'universo esterno. Si addormentò serena in quel preciso momento, in quanto l'unico dell'intera giornata dove poteva liberarsi dai tormenti che portava continuamente su di sé.

Arthur Fleck, invece, dall'altra parte della caotica città, la stava inconsapevolmente sognando.

La mattina seguente Renée si svegliò di soprassalto, pensando di dover andare a lavoro e di essere ancora una volta in ritardo. Solo dopo esser saltata giù dal divano si rese conto che era, finalmente, Domenica. La tristezza di quella mattinata deprimente la stava già opprimendo, così indossò il primo vestito che trovò, mise il cappotto e uscì velocemente di casa. Voleva passare il meno tempo possibile dentro quello sporco posto.

Fuori pioveva e Renée amava maledettamente quel tempo uggioso. Considerava la pioggia triste al pari di lei. Non aprì l'ombrello, quella mattina voleva sentire sulla propria pelle il tocco freddo dell'acqua a contatto col suo caldo corpo. Non aveva una meta precisa, vagava fra le strade a lei estranee, così da poter evitare d'incontrare persone che conosceva.

Finché il suo sguardo non si imbatté in quello di un uomo che conosceva bene.
Quante possibilità c'erano di incontrarlo per totale caso in una città grande quanto Gotham? Subito dopo, però, la ragazza trovò che forse non era una coincidenza. Ebbe qualche istante di pura paura, ma decise poi di abbandonare questa percezione.

"Arthur!" gli gridò da dietro lei. Lui si girò immediatamente. Aveva gli stessi leggeri vestiti del giorno prima. I capelli imbrattati erano scompigliati da quella gelida brezza e, con una magra e ossuta mano, cercava di rimetterli a posto. Renée, al contrario, era quasi perfetta. Era una bellezza particolare, ma Arthur credeva che fosse oltremodo ammaliante. I suoi lunghi e lisci capelli castani erano legati in una pettinatura ormai disfatta e i suoi occhi, di un verde meno intenso dei suoi, più tendente al grigio, erano soavemente malinconici.

Non appena furono abbastanza vicini, la donna proseguì.
"Mi seguivi?" chiese quasi pungente, seppure, infondo, non scherzava. Lui esitò a rispondere.
"È possibile" replicò banalmente. Lei lo guardò con sospetto ma poi rise leggermente. Probabilmente non le dispiaceva nemmeno che la pedinasse.

"Mi stavo organizzando per lo spettacolo di settimana prossima, al "Pogo's Club"."
"È per caso un invito?" domandò lei pur essendone sicura.
"Innegabilmente...si"
"Beh potrei pensarci"
"Okay" ribatté infine lui, divertito.
I due, dopo il breve dialogo, proseguirono per la strada, ognuno per la propria. Erano girati di spalle e non si potevano guardare, ma sapevano che entrambi, in quel medesimo istante, stavano sorridendo.

Per i successivi giorni Arthur continuò a presentarsi nell'ufficio di Renée, puntale alle quattro del pomeriggio. Oramai  era diventato integralmente un suo paziente. Entrambi, durante le loro fisse sedute, nella pura essenza della loro coscienza, sapevano di star giocando ad un gioco precario, che quello che stavano facendo andava oltre ad un mero rapporto tra terapista e paziente. Ma erano anche consapevoli del fatto che tutti e due non potevano far a meno di questi colloqui al di fuori delle loro iellate vite.

|𝑰𝒏𝒔𝒊𝒅𝒆 𝒐𝒖𝒓𝒔𝒆𝒍𝒗𝒆𝒔| ~JOKERDove le storie prendono vita. Scoprilo ora