Capitolo 12

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Appena sentì la vibrazione della catena che veniva tolta, Renée si alzò di scatto. Non voleva farsi vedere da lui in quelle compassionevoli condizioni. Provò ad asciugarsi le lacrime e a sistemarsi i capelli arruffati ma non fece in tempo che il viso stanco di Arthur le apparve davanti. Il sollievo che provava nel vedere quei lineamenti scabrosi e così familiari era indescrivibile.

Si decifrava schiettamente il caos nei suoi occhi. Renée non poté fare a meno che buttarsi fra le sue braccia. Per quanto ridicolo possa suonare, si sentiva al sicuro avvolta dal corpo di un omicida. Ma per lei non era altro che Arthur. Lo stesso di sempre. Lo stesso che l'aveva messa in salvo dalla realtà.

"Ho combinato un disastro" disse soffocata dal pianto e dalla spalla di Arthur, su cui era adorabilmente poggiata. Lui, che fino ad ora era rimasto imperterrito dal fermento del corpo di lei contro il suo, chiuse la porta e posò le mani tra i suoi capelli.
"Che tipo di disastro?" chiese lui esageratamente calmo, scandendo perfettamente ogni parola.

"Sono venuti da me, per i tuoi...reati. Non potevo starmene in silenzio quando hanno osato parlar di te così ingiustamente! Ho reagito, Arthur, e anche se mi sono condannata, lo rifarei altre mille volte." Arthur la fece staccare da lui per guardarla dritto negli occhi. Sorrise come mai le aveva fatto prima. Dentro di sé, fin da quando aveva ricordi, c'era sempre e solo stato sconvolgimento e tormenta. Quell'irrespirabile senso di isolamento viveva dentro di lui perennemente. In quel momento assaggiò per la prima volta un sorso di libertà.

"Sei una combina guai, Renée" sussurrò con sarcasmo e guardandola come fosse orgoglioso. Poi si avvicinò e la baciò. Fu un bacio quasi interminabile, carico di dolore.
"C'è qualcosa che non ti ho detto" disse lei cautamente, con la fronte appoggiata alla sua.
"A che proposito?"
"Dicevi il vero quando dichiaravi che sono come te. Ma forse lo sono più di quanto tu possa pensare."

Raccontò tutto senza fermarsi, a momenti senz'emozione. Era estate quando avvenne. Si chiamava Walter Phillips, ed erano innamorati. Era un uomo dal carisma facile, in poco tempo Renée cominciò a fidarsi di lui ciecamente. Ma col passare dei mesi, Walter iniziò a dimostrarsi quello che mai Renée avrebbe pensato che fosse. Scoprì ch'era membro di una cosca ed era per di più uno dei maggiormente ossequiati dalla banda. Si rivelò un uomo violento anche con lei. Quella calda notte niente fermò l'avvenire dei terribili eventi.

Si trovavano a casa di lui, una delle più belle e spaziose che Renée avesse mai visto. Lui cominciò, come sempre, con qualche innocuo bacio, per poi sprofondare nel più scandaloso sopruso. Renée aveva paura, si chiedeva perché proprio lei avesse dovuto sopportare ciò. Ma poi si rammentò che era la vita, mai nulla sarebbe andato come voleva, mai niente sarebbe proceduto bene. Vicino a lei, nella sua ampia cucina, un allettante coltello, riflettente della luce artificiale, attirò la sua vista, mentre per l'ennesima volta era repressa nel subire mutamente. Perse il controllo.

Afferrò l'arma transitoria e, senza la minima devozione, la infilò nel suo stomaco. Avrebbe potuto fuggire, sarebbe stata in salvo e probabilmente anche dalle accuse, in quanto il caso sarebbe poi apparso come legittima difesa. Ma non si fermò a questo. Estrasse il funesto coltello e continuò a colpire la sua vittima, finché non fu sicura che il suo cuore non battesse più.

Scappò, e ciò che più avrebbe fatto pensare a chi avrebbe, ipoteticamente, saputo di ciò che era un mostro, era proprio il fatto che mai si pentì, che sempre l'avrebbe rifatto. Il vero mostro era Walter, e questo pensiero la fece sopravvivere dagli assillanti tormenti che altrimenti non l'avrebbero fatta continuare a vivere, per esempio facendola costituirsi. Il caso, alla fine, non fu neanche mai aperto. Si sapeva: la polizia non voleva aver a che fare, in alcun modo, con quei disonesti, nient'altro che mafiosi.

"Se non ci avessi già pensato tu, l'avrei fatto comunque io" commentò semplicemente Arthur. Possibile che se l'aspettasse? La sua reazione così poco sorpresa, diede molto da pensare a Renée. Era imprevedibile, quell'uomo.
"Non sei...arrabbiato?" domandò lei timorosamente.
"E perché mai dovrei esserlo?"
"Ti ho mandato via per qualcosa che io stessa, da principio, avevo commesso." Lui alzò le sopracciglia.

Poi, restando in silenzio, andò ad accomodarsi sul divano. Renée rimase immobile dov'era.
"Solo perché gli altri sbagliano, non vedo perché dovrei farlo anche io."
La donna si sentì sommersa dai sensi di colpa. Lo raggiunse e si accoccolò incollata a lui. Gli aveva fatto del male e non aveva intenzione di vendicarsi, o quantomeno non per ora.

"Perché te ne vai se sai che tornerai sempre?" chiese lui inquieto, esternando uno dei suoi patimenti più grandi, abbassando la testa per poter osservare il suo viso.
"Perché sono impulsiva, e tu me ne dai motivo." Lui scosse piano la testa, divertito, e Renée non capì il motivo di questo suo gesto.
"Ho in serbo un piano" affermò lui all'improvviso, dopo diversi istanti di silenzio.
"Che tipo di piano?" chiese lei non riuscendo ad immaginare cosa diavolo potesse passare per la sua malata mente.
"Qualcosa di grande."

|𝑰𝒏𝒔𝒊𝒅𝒆 𝒐𝒖𝒓𝒔𝒆𝒍𝒗𝒆𝒔| ~JOKERDove le storie prendono vita. Scoprilo ora