The prison

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Mi svegliai più serena, completamente ristorata dopo quella lunga notte piena di avvenimenti. Un po' della mia tranquillità svanì non appena ricordai tutti i particolari della notte precedente: un fratello socialista, un imprenditore corrotto impossibile da smascherare... E un bacio rubato che bruciava ancora sulle mie labbra.
Decisa a non lasciarmi influenzare mi vestii in fretta, legai i capelli nella solita crocchia e mi diressi in soggiorno, dove trovai un Connor Price ancora profondamente addormentato sul divano, nonostante fosse quasi mezzogiorno.
Non si era cambiato da quando eravamo rientrati, limitandosi a sbottonare i polsini della camicia per arrotolarsi le maniche fino al gomito; rimasi per un attimo turbata nell'osservare l'espressione infantile che aveva quell'uomo mentre dormiva, totalmente in contrasto con l'aura da predatore che lo circondava quando era sveglio. Ero imbarazzata nel sostare davanti a lui ma non avrei saputo indicare una ragione precisa del mio disagio, perciò mi limitai a scuoterlo per un braccio e svegliarlo.
L'uomo emise un grugnito insoddisfatto e sbatté le palpebre un paio di volte prima di mettere a fuoco la mia espressione severa:
«Buongiorno, Price!» esclamai, impaziente.

«Connor...» biascicò lui, ancora non del tutto lucido, mentre si rigirava sul divano alla ricerca di una posizione più comoda. «Mi chiamo Connor, perché nessuno sembra afferrarlo?»

«Non ho tempo da perdere in questioni così futili!» sibilai, mentre i residui del mio buonumore evaporavano in fretta. «Hai promesso di portarmi da mio fratello, oggi!»

Fissò gli occhi castani nei miei e sospirò:
«Che il Cielo mi assista, Mark non me lo perdonerà mai...»

***

Effettivamente mio fratello non prese molto bene il mio arrivo nella sua cella. Mi ero aspettata un ambiente simile alle carceri di Rosenville, buie, umide e pericolanti; invece ero entrata in una costruzione dagli spazi angusti, ma pulita e relativamente calda. Mentre entravamo nel cortile interno, avevo osservato con un brivido le guardie armate che ne percorrevano il perimetro e Connor si era chinato verso di me:
«Sai perché hanno costruito una prigione così grande proprio in questa zona?» mi sussurrò, riferendosi al promontorio roccioso a picco sul mare su cui ci trovavamo. Scossi la testa.
«Perché così è impossibile scappare.»

Era un'ammonizione e io la colsi chiaramente, abbandonando ogni piano di evasione ancora prima di entrare nella cella di Mark.
Mi presi qualche istante per osservarlo, mentre lui, superato lo sbigottimento iniziale, era balzato in piedi e aveva iniziato ad imprecare contro il mio accompagnatore.
Mio fratello si era irrobustito negli ultimi anni e aveva lasciato crescere i capelli e la barba: era il ritratto giovanile di nostro padre, sebbene gli occhi verdi fossero più torbidi e scuri di quelli di Russell Walker.

«Mark, per favore!» lo redarguii, fermandolo un attimo prima che si potesse slanciare su Connor, che lo fissava con aria colpevole. «Lascialo stare. Sono io che ho insistito per venire qui!»

Mark puntò gli occhi scuri e tormentati su di me e piegò il capo di lato:
«So quanto puoi essere testarda» mormorò, mentre i suoi occhi si facevano lucidi. «Sei ancora la mia piccola Lizzie, dopotutto!»

«Oh, Mark!» singhiozzai, mentre lui mi stringeva in un abbraccio caldo che avevo aspettato per dieci anni.
«Sei il peggior fratello di tutti i tempi!» sbottai tra le lacrime e sentii i muscoli della sua schiena tendersi. «La mamma si è consumata giorno dopo giorno, papà non è stato più lo stesso e neanche io!»

«Nessuno di noi è rimasto lo stesso.»

«Dieci anni e neanche una riga!»

«Lo so, mi dispiace!» mormorò mio fratello, staccandosi. «Avevo paura di mettervi nei guai e poi... Non sono stati anni molto facili, per me!»

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