The walk

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Respirai a fondo la brezza marina: ora che mi stavo abituando all'odore forte del pesce e del porto, quel venticello fresco e corroborante era ciò che mi serviva per racimolare il coraggio di avvicinarmi alle barche da pesca. Avevo passato l'intera giornata nell'appartamento di Price, che invece l'aveva abbandonato la mattina presto per «fare dei giri», come aveva detto lui: era in uno stato febbrile e nervoso, pronunciava sottovoce i nomi delle persone che doveva incontrare e aveva impiegato quasi mezz'ora nel cercare il cappello.

«Se ti agiti sempre così capisco perché in quasi un mese non sei stato di alcun aiuto per Mark!» avevo borbottato, porgendogli il copricapo ed interrompendo così la sua ricerca costellata da imprecazioni. Connor aveva emesso un basso grugnito che poteva avere numerose interpretazioni, che variavano da 'grazie' a 'togliti dai piedi'.
L'attesa era stata snervante, nonostante mi fossi tenuta occupata nel riordinare la casa: mi ero applicata con impegno e determinazione per non lasciarmi sopraffare dallo sconforto, con il risultato che adesso le braccia e le spalle mi dolevano per le ore passate a sfregare le superfici incrostate.
Rabbrividii al pensiero dell'incuria di Connor e di quanto ci fosse ancora da fare per rendere presentabile quell'appartamento.

Finalmente individuai Tony, intento a rammendare una rete su una delle imbarcazioni: nonostante fosse quasi il tramonto e il sole calasse rapidamente, il ragazzo non sembrava aver difficoltà nell'esaminare le corde e chiudere i buchi tra le maglie con rapidi e precisi movimenti dell'ago. Mi incamminai lungo il molo di legno, mentre il vento faceva ondeggiare le mie gonne in maniera buffa, tanto che per poco non inciampai; mi sentivo a disagio sotto lo sguardo indagatore e curioso di tutti quegli uomini, molti dei quali italiani. Tony alzò lo sguardo quando ero quasi arrivata davanti a lui e scoprì i denti candidi in un sorriso:
«Allora Price non l'ha mangiata!» ridacchiò, lanciando il suo capo della rete ad uno dei compagni, che protestò infastidito.

Tony si strinse nelle spalle e gli mormorò qualcosa in italiano con aria gioviale, prima di raggiungermi e prendermi a braccetto con familiarità:
«Dove andiamo?» chiesi, divertita.

«Ovunque lei vuole, signorina Walker!»

«Ma non deve lavorare?»

«Come vede, ho appena smontato!» replicò lui in tono furbo.Il mio buonumore si smorzò quando ricordai perché ero uscita a cercarlo e sospirai.

«Qualcosa non va?»

«Temo di sì.»
Mi fermai solo quando fui sicura che nessuno prestasse ci più attenzione e portai una mano al colletto chiuso del vestito, desiderando di poterlo aprire per far passare più aria: stavo soffocando.
«Le avevo già detto perché mi trovo a San Fransisco, giusto? Beh, mio fratello Mark rischia di essere giustiziato per un omicidio che ha commesso tanti anni fa. La sua vita dipende dalla testimonianza dell'uomo che l'ha denunciato.»

Non era così che avrei voluto introdurre l'argomento: se Tony, al contrario di quanto pensavo, fosse stato implicato negli affari malavitosi dei suoi conterranei, avremmo perso ogni possibilità di rintracciare Roger Jefferson e costringerlo a cambiare versione. In quel momento, però, avevo un estremo bisogno di chiarire la situazione con lui: tenevo al suo giudizio e sapevo che mi ero comportata in modo strano e sospetto, l'ultima volta che ci eravamo visti.
Tony sgranò gli occhi, poi si passò una mano sul mento rasato:
«Perché mi sta dicendo queste cose proprio adesso?»

«Perché voglio che capisca che c'è un motivo dietro a tutto ciò che ho fatto fin da quando ci siamo conosciuti... E anche perché ho bisogno di aiuto.»

Il ragazzo annuì:
«Di cosa si tratta?»

«Ecco... Non si offenda, ma...» tentennai, non riuscendo a trovare un modo delicato per introdurre l'argomento. Mi sorpresi a pensare che al mio posto Barbara Calloway non avrebbe avuto problemi.
«In breve, l'uomo che cerco si chiama Roger Jefferson ed è affiliato ad una delle bande criminali di San Francisco... Io mi chiedevo se lei...»

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