The shot

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Appena misi piede fuori dalla fabbrica ripresi a respirare a pieni polmoni, più rilassata. Calloway aveva già provveduto ad aprire i cancelli e a far riprendere la produzione, perciò lo spiazzo antistante la cancellata era sgombro, fatta eccezione per i miei amici.
Entrambi avevano espressioni tese e preoccupate, ma il primo a scattare, quando mi vide avanzare timidamente verso di loro, fu Tony — e probabilmente fu quello a salvargli la vita.
Uno scalpiccio di passi, uno sparo, il grido affannato di qualche signora ignara: ecco tutto ciò che ricordo, visto che ero girata dall'altra parte, intenta a ragguagliare Tony su ciò che era avvenuto.
Quando mi voltai, vidi Connor a terra che si premeva una mano sulla spalla insanguinata.

«Oh, Dio!» esclamai, correndo verso di lui, mentre il mio sguardo saettava alla ricerca dell'attentatore. Avvertii i passi di Tony dietro di me e un attimo dopo stavamo rotolando a terra, mentre un secondo proiettile ci mancava di poco.
«Lasciami! Lasciami!» strillai, gli occhi fissi su Price, indifeso e in piena vista al centro della piazza. Tony cercò di bloccarmi le braccia e di farmi scudo col suo corpo, ma riuscii a rifilargli una gomitata nel torace che gli mozzò il respiro e permise a me di barcollare in avanti.
Per qualche istante sia noi che gli altri passanti terrorizzati rimanemmo in attesa, sicuri che il cecchino invisibile avrebbe proseguito la sua opera; invece i minuti passavano ed io ero sempre più consapevole della macchia di sangue che si allargava sotto il corpo di Connor.
Quando fu chiaro a tutti che non ci sarebbero stati altri spari la piazzola si rianimò e alcuni agenti, rimasti nei dintorni dopo la sommossa degli operai, si dispersero tra i viottoli alla ricerca dell'assassino. Neanche uno si curò del ferito, perciò nessuno mi impedì di inginocchiarmi accanto a lui per aiutarlo ad alzarsi.

«Presto!» ringhiò a denti stretti, vacillando nel tentativo di reggersi in piedi senza gravare su di me.
«Dobbiamo andarcene prima che vengano a farci delle domande!»

«Forse ci potrebbero aiutare.» mormorai, con voce spezzata dallo sforzo di sorreggere il suo peso da sola. Per fortuna Tony fu al mio fianco in un attimo e passando un braccio sotto le spalle di Connor iniziò a trascinarlo lontano dalla fabbrica di Calloway.

«Lascia la polizia fuori da questa storia, Elizabeth!» mormorò Connor affannato. «Non vogliamo che tutto questo arrivi alle orecchie dell'ispettore Nelson, vero?»

«Va bene.»!risposi, dopo un attimo di esitazione, passandomi una mano tra i capelli e scompigliando l'acconciatura ordinata.
Ci eravamo riparati sotto un portico di una strada laterale e sembrava che la situazione si fosse calmata: la piazza era deserta e nessun fischio di pallottole attraversava l'aria.
«Andiamo a casa.» decisi, lanciando un'occhiata preoccupata alla ferita di Price, ma lui scosse la testa, stringendo i denti per il dolore causato da quel gesto veemente.

«Sanno chi siamo, dove abitiamo e cosa stiamo facendo. Non è sicuro là.»

«Tu hai bisogno di cure!» replicai, asciugandogli il sudore che iniziava a colare dalla fronte pallida.

«Potete venire a stare da me.» propose allora Tony.

«Non posso mettere in pericolo anche te!» ribattei, preoccupata. «Da quello che dice lui siamo dei bersagli mobili, ricercati dai sicari di qualche pericolosa banda criminale. Non possiamo chiederti questo!»

«C'ero anche io in quella piazza!» disse il ragazzo lentamente, con espressione seria. «Sanno che collaboro con voi, sono già in pericolo. L'unico vantaggio che abbiamo è che non mi conoscono. Casa mia è il luogo più sicuro per voi, adesso!»

Quello sguardo ombroso e consapevole lo rendeva più anziano e maturo, lasciando intravedere un carattere forte e saldo come una roccia.
Incapace di replicare ad una logica così stringata, mi limitai ad afferrare un braccio di Connor per tirarlo in piedi.

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