The kidnapping

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Non avevo ancora afferrato il senso di quelle parole che già avevo raggiunto la porta per correre in strada. Essendo sopraffatta dalla paura e dall'ansia agivo senza pensare, con in testa solo quel sottile filo di complicità che si era appena instaurato tra me e Barbara Calloway.
Il braccio di Connor apparve nel mio campo visivo e richiuse senza sforzo l'ingresso:
«Dove credi di andare?»

«A cercarla, ovviamente!»

«Elizabeth, non essere sciocca! Non conosci questa città, non sai niente dei suoi abitanti e sicuramente non puoi avere alcuna idea di dove abbiano portato la signorina Calloway!»

Mi voltai verso di lui, scansando i capelli che mi erano finiti davanti agli occhi:
«Va bene, allora mi guiderai tu. Ma io non posso rimanere qui ad aspettare! Io devo fare qualcosa!»

Price mi osservò con aria meditabonda per diversi minuti, poi sospirò:
«Siamo d'accordo, allora. Ma vedi di non fare nulla di avventato!»

«Io non faccio mai nulla di avventato!» borbottai.

Connor, che stava ringraziando Maria per l'ospitalità, raccomandandole di dire a Tony di stare in guardia, mi rivolse un'occhiata omicida.
«Credevo di averti visto mentre ti infilavi nel bel mezzo di una pericolosa sommossa di operai inferociti, ma evidentemente devo essermi confuso con un'altra testarda ragazzina del Wyoming!» sbottò mentre uscivamo dall'edificio.

«Non iniziare, per favore...» mormorai, respirando a fondo la brezza marina e sforzandomi di non lasciar uscire le lacrime.

Connor comprese la situazione e mi sfiorò la guancia con una carezza affettuosa.
«Non è il momento di lasciarsi abbattere, tigre! Il tempo ci è nemico! Direi di iniziare da dove Barbara — o meglio, il suo investigatore — ha lasciato a metà. Dobbiamo tornare alla fabbrica e cercare lì intorno!»

***

Dopo ore di inutili vagabondaggi ero sfinita, accaldata e iniziavo a disperare nella riuscita delle nostre ricerche.
Connor mi strattonò per la manica, visto che mi ero quasi assopita appoggiandomi contro il muro di un palazzo:
«Mi hanno indicato un locale poco raccomandabile qui vicino. È probabile che chi ci ha sparato fosse lì quando ha ricevuto il messaggio... Sicuramente potranno darci delle informazioni utili!»

Il locale era una vera e propria bettola situata in una zona fatiscente, in cui le case erano sorte a caso le une sulle altre fino a formare un labirinto inestricabile di vicoli. Price spiò l'interno, poi si rivolse bruscamente a me:
«Tu resti fuori!»

«Ma...»

«Niente ma! Dovrò essere estremamente cauto per riuscire a scoprire ciò che ci interessa e non potrò farlo se dovrò badare alla tua sicurezza!»

«Non c'è bisogno che tu lo faccia!»

«Lizzie, per favore!» ringhiò esasperato.

«Va bene, va bene!» sbuffai, incrociando le braccia al petto. «Rimango qui!»

Connor sorrise:
«Brava ragazza!»
Poi mi sorprese con un casto bacio sulla fronte e si infilò nello stretto uscio del locale sconosciuto.

Per un po' rimasi ferma lì davanti cercando di resistere alla tentazione di sbirciare all'interno, ma in breve, annoiata e incapace di rilassarmi, presi a girovagare tra le viuzze, badando di non perdere mai di vista la bettola.
"Se Connor uscisse e non mi trovasse mi rinchiuderebbe in casa e butterebbe via la chiave!"
Persa in questi pensieri svoltai a destra e raggelai, perché a pochi passi da me c'era il corpo di un uomo. La mia mente corse indietro agli uomini uccisi da Barbara in una stradina simile a quella, ma il cadavere che avevo davanti era diverso: era un signore sulla cinquantina, dal viso anonimo e vestito con abiti di buona fattura. Aveva una certa aura di rispettabilità che stonava sia con l'ambiente sia con il foro di proiettile che spiccava sulla fronte pallida.
Mi guardai attorno, chiedendomi con un brivido perché l'avessero lasciato lì anche se doveva essere deceduto da diverse ore, vista la sgradevole puzza di morte che appestava l'aria.
Vincendo la repulsione mi chinai ad osservare il cappotto scuro dell'uomo: ero sicura di averne già visto uno simile. Frugai tra le sue tasche con il sangue che scorreva molto più velocemente del normale, tanto che riuscivo a sentire solo il battere agitato del mio cuore. Il risultato della mia indagine all'apparenza fu ben misero: un paio di occhiali da naso un po' consunti, un portamonete di pelle con sopra le iniziali "E. M." e un pacchetto di sigarette in cui, notai, il pover'uomo aveva riposto anche quella che non aveva finito di fumare, allineata al millimetro accanto a quelle ancora intatte.
"Che precisione maniacale!" pensai, con un sorriso che rimase congelato sulle mie labbra. All'improvviso la soluzione era emersa nella mia mente in modo limpido e naturale, collegando tra loro immagini e stralci di conversazione che non ricordavo neanche di aver udito.

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