The killing

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«Dividiamoci!» propose Barbara, accarezzandomi la spalla con fare protettivo e allo stesso tempo scandagliando la stanza con una foga quasi rabbiosa.
«Dobbiamo assolutamente ritrovarlo!»

Connor annuì e in breve sparirono dalla mia vista, confondendosi nella folla. Solo io rimasi come un'ebete accanto al bancone, cercando disperatamente di non piangere, di non urlare per la frustrazione, di non scappare da quel locale che ora mi soffocava.

«Ehi, dolcezza!» la voce amichevole del cameriere mi riscosse, ma dovetti sbattere le palpebre più volte prima di riuscire a vederlo bene. L'uomo sorrise e mi allungò un bicchiere:
«Tieni, offre la casa... Sembra che tu ne abbia bisogno!»

Lo ringraziai con un cenno del capo e buttai giù il liquido ambrato tutto d'un fiato: il brandy mi infiammò la gola e lo stomaco e mi diede la giusta energia per riprendere la mia ricerca.
Vagai a lungo tra le sale, ignorando i fischi d'apprezzamento e i richiami allegri degli uomini ai tavoli d'azzardo. Dopo quelle che mi sembravano ore, preoccupata perché non c'era traccia né di Connor, né di Barbara, né tantomeno di Jefferson, notai un inconfondibile cappello grigio dirigersi verso l'uscita. Lo seguii, stando attenta a non farmi notare e a non inciampare nel vestito; l'aria, fuori dal locale, era gelida e mi passai le mani sulle braccia nel tentativo di riscaldarle.
Roger Jefferson procedeva rilassato e con andatura arrogante verso la propria meta — a un tratto accennò anche un motivetto, che risuonò sinistro tra i vicoli bui.
Poi si fece più cauto e un paio di volte fu sul punto di scoprirmi mentre si inoltrava in mezzo alle case scure, fino ad infilarsi in un seminterrato rischiarato da una lampada fioca.
Accostandomi all'uscio riuscii a captare la conversazione degli uomini all'interno e sebbene l'illuminazione fosse troppo scarsa e la finestrella troppo piccola e lurida per riconoscere i loro volti, individuai almeno tre figure all'interno: una era quella del delatore, mentre le altre due erano sedute a un tavolo e davano le spalle alla porta.

«Jefferson! Ben arrivato!» esclamò una voce rauca e profonda, appartenente senza ombra di dubbio ad un ubriaco, poiché le parole erano sconnesse e strascicate.

«Poche chiacchiere!» sbraitò Jefferson, che sembrava aver perso tutta l'allegria di poco prima. Era evidente che quell'ambiente non gli piacesse e ciò rendeva i suoi modi molto più rudi, come se d'improvviso fosse tornato ad essere il pistolero di Rosenville.
«Dove sono i miei soldi? Ne ho bisogno subito!»

«Pazienta ancora, amico... Manca qualcuno!»

Mi sentii mancare quando udii un rumore di passi fermarsi alle mie spalle. Poi una mano scese a coprirmi la bocca e fui strattonata lontano dalla porta. Stretta contro il corpo del mio aggressore, sentii gli uomini all'interno esclamare:
«Avete sentito?»
«Non è nulla, sta' buono! Sarà stato qualche cane randagio!»

Delle labbra calde si accostarono al mio orecchio:
«Adesso ti lascio andare, Elizabeth. Ma, mi raccomando, non urlare!»

«Tony!» bisbigliai, mentre le lacrime scivolavano sulle mie guance, residuo del terrore cieco che avevo provato. «Mi hai spaventato a morte!»

«Bene, così impari ad essere imprudente!» mi rimbrottò lui con aria grave. «Potevi essere scoperta da un momento all'altro, così, sull'uscio! Dov'è Price?»
Mi lanciò un'occhiata stupita, in cui colsi anche un lampo di apprezzamento:
«E perché sei vestita in questo modo?»

«Io, Price e ... Un'amica di mio fratello stavamo seguendo il delatore, Roger Jefferson. Ci siamo divisi e io l'ho scovato e seguito fino a qui. Tu, piuttosto, cosa stai facendo?» bisbigliai, lanciando un'occhiata al vicolo dalla nicchia in cui eravamo nascosti. Non appena l'uomo misterioso fosse arrivato, ci saremmo potuti avvicinare e ascoltare meglio i loro discorsi; speravo solo che non si lasciassero sfuggire qualche informazione importante mentre noi non potevamo sentirli.

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